Della scrittrice-psicologa Brianna Carafa, l’editore Cliquot ha recentemente pubblicato La vita involontaria, splendido romanzo di maturazione finalista al Premio Strega nel 1975. Ora, nel solco di una vocazione alla riscoperta, dà alle stampe quella che potrebbe essere una variazione “frammentata” di quel narrare. Una raccolta di racconti che costeggiano il genere autobiografico e in parte pescano dalle atmosfere intime e dissonanti delle opere precedenti.
«Gli angeli personali» e i testi-filtro
Gli angeli personali (acquista), evocativo sin dal titolo, è anzitutto il risultato di un assemblaggio calibrato. È fondato sull’indubbia qualità della materia e una certa dose di coraggio da parte dell’editore. Nessuno legge più racconti, oggi, e l’autobiografia è costantemente sabotata da “regole” esterne, via via afferenti al romanzo di crescita, alla riflessione socio-antropologica, all’indagine storica in chiave poetica o privata.
In questa prospettiva, gli scritti di Carafa (uno inedito, gli altri usciti in precedenza su “Paragone Letteratura” e “Botteghe Oscure”) si pongono come testi-filtro, a cavallo tra l’esperienza personale e la successiva – o contigua – sublimazione degli avvenimenti, in un continuum dialogico tra invenzione e conoscenza della vita.
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La memoria, di per sé episodica, si articola in frazioni di tempo che corrispondono a squarci in cui il passato si insinua. Ciò getta luce su un tempo piano – e all’apparenza lineare – quale è quello del vissuto quotidiano. Qui sta la prima differenza rispetto a La vita involontaria, in cui il protagonista cerca di venire a patti con la società, con le aspettative che orientano la sua formazione, il suo cammino di uomo in fieri. I personaggi de Gli angeli personali sono al contrario figure (ir)risolte, che si voltano all’indietro per ricercare un senso, per riavvolgere fili mal tessuti e guardare meglio i frammenti del proprio tempo, sezionato per essere abbracciato in pieno.
I racconti de «Gli angeli personali»
La forma racconto è in questo senso significativa, giacché Carafa punta l’obiettivo su riferimenti “atavici”, figure di un’esistenza che anche la nostra perché misurata su rapporti chiave come quelli con amici, compagni, genitori. L’occhio fotografico è mobile, procede per flash. La brevità si presta così a scandagliare le stanze della memoria su cui si affacciano episodi e oggetti di cui si è tentati – a volte – di svolgere una precisa catalogazione. Così la nonna protagonista del primo racconto, Ritratto di straniera, evoca l’infanzia come luogo mitico segnato dall’odore delle cucine e dei giochi. O ancora La governante in cui il personaggio della balia rovescia – nella contiguità figurativa – quello della Dida di Fabrizia Ramondino, altra autrice sensoriale che effigia un presente incompiuto, popolato di immagini vive, carnali.
La figura del padre
È tuttavia il ritratto del padre a mostrare la forza dell’indagine carafiana, laddove alcune semplici righe delineano un carattere ambiguo, in grado di svelare le ipocrisie piccolo-borghesi e il conformismo delle idee, dei comportamenti, delle scelte:
Dunque un uomo solo, libero delle sue azioni e per di più ricco, brillante, raffinato. (“Io non capisco” diceva “questi pregiudizi contro il baccalà. Bisognerebbe rivalutarlo”. E intanto assaggiava il baccalà confezionato dal suo cuoco francese, innaffiato di vino e ricoperto di tartufi.)
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Il rapporto dell’uomo con Brianna appare fondato sulla dialettica amore-devozione e viene sviscerato attraverso episodi memorabili come quello dell’incontro con l’amante del genitore. Qui la piccola Carafa è stordita, soggiogata, presa da un istinto di protezione che cozza con la gioia dei bambini.
«Fui perciò obbligata a rinnegare in fretta quel che in un primo momento mi aveva incantato, quell’aria di festività e di stordimento che credevo in accordo con la nostra avventura».
Ciò impone una sorta di muto ossequio, una fedeltà che segna il destino.
Tutto, in quest’opera di Carafa, rivela un intento epistemologico sotteso al recupero del ricordo. Il tentativo di svelare – pur sottotraccia – la complessità dei rapporti e dell’inevitabile difficoltà – per certi individui, per certe classi – di adattarsi a un nuovo tipo di società, quella a cavallo tra le due guerre.
No, ti dico di no, in quel mondo non ci metto piede, non vado da nessuna parte io, tanto, sono tutti trabocchetti!
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