Cronaca muta della fine del mondo

«Il canto del profeta» di Paul Lynch

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Il canto del profeta

Si parla di distopia o di anti-utopia quando si immagina una realtà alternativa in un futuro molto lontano dal nostro presente in tutti i suoi aspetti negativi: limitazione delle principali libertà dell’uomo, il controllo delle masse attraverso tecnologie pericolose, una forte gerarchizzazione sociale, per non parlare dell’opposizione nei confronti dei nemici politici e della manipolazione della verità storica.

E se questa distopia fosse, invece, reale? Si pensi ai recenti conflitti oppure all’avanzare dei movimenti di estrema destra, che in alcuni casi stanno governando in Europa e non. La distopia, in fondo, non è altro che qualcosa di immaginato sulla base della realtà, un riflesso di ciò che il nostro presente sta diventando. Deve averlo capito l’irlandese Paul Lynch, vincitore nel 2023 del Booker Prize con Il canto del profeta (66thand2nd, 2024) e finalista al Premio Strega Europeo 2024.

La trama di «Il canto del profeta»

Definito dalla presidente della giuria del Booker Prize Esi Edugyan come un romanzo che «cattura le ansie sociali e politiche della nostra attualità», Il canto del profeta è ambientato in Irlanda e ha per protagonista Eilish Stack, una biologa molecolare. In Irlanda è al potere il National Alliance Party, un partito di estrema destra che ha approvato delle leggi di emergenza per limitare il dissenso e avere pieni poteri, e si serve dell’Ufficio Servizi Nazionali della Garda (USNG) per sbarazzarsi dei sediziosi.

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All’inizio del romanzo, Eilish riceve la visita da due ispettori della Garda in cerca di suo marito Larry, vicesegretario dell’unione sindacalista degli insegnanti, che per la sua attività sarà considerato un dissidente e interrogato dall’ispettore Stamp e dall’agente Burke. L’uomo, però, sparirà dal nulla senza lasciare traccia, e per Eilish e i suoi figli – i piccoli Ben, Molly, Bailey e Mark – inizia un calvario che dovrà portarli a compiere una scelta difficile: restare in un paese che soffoca le proprie libertà oppure fuggire lasciandosi tutto alle spalle.

«Il canto del profeta»: non la solita distopia

Quando si parla di distopia, il primo esempio che viene in mente è sempre 1984 di George Orwell, considerato all’unanimità un grande classico del genere. La critica, difatti, ha considerato Il canto del profeta un «1984 irlandese», e c’è chi l’ha accostato anche a José Saramago, avendo in mente probabilmente Cecità. A differenza loro, però, Paul Lynch non immagina mondi alternativi con tecnologie avanzate o equilibri geopolitici stravolti, e non immagina nemmeno epidemie fantasiose che portano la società a collassare, bensì racconta il nostro tempo filtrato dalle ansie politiche e sociali del presente.

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Sebbene sia successivo al romanzo, Il canto del profeta ha molto in comune con il film Civil War di Alex Garland, uscito recentemente nelle sale. Entrambi, infatti, prendono le mosse ispirandosi allo spirito del tempo e immaginano una distopia reale, o che potrebbe diventare subito reale. Citando il personaggio di Lee Smith interpretato da Kirsten Dust, sia Lynch che Garland non ci danno molte spiegazioni su come un partito di estrema destra sia arrivato al potere o un Presidente degli Stati Uniti sia arrivato al terzo mandato, ma ci mostrano questo mondo altro di modo che gli altri si chiedano come mai sia successo o possa succedere.

Eilish Stack: dalla cecità a una crescente consapevolezza

Quando si parla di Il canto del profeta, vengono in mente le seguenti parole di un sermone di Martin Niemöller, erroneamente attribuito a Bertolt Brecht:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Ritornando a ciò che dice Lee Smith, una delle risposte che ci diamo quando leggiamo il romanzo di Lynch è che gli abitanti di questa Irlanda distopica ma vicina hanno preso sottogamba il rischio di deriva estremista del governo, affermando che si sarebbe risolto tutto perché un governo non può ledere la costituzione. Larry, per esempio, sottostima la scomparsa dei sui colleghi Jim Sexton ed Alison O’Reily dicendo che l’USNG fa credere di averci qualcosa a che fare per fare pressione sugli insegnanti in sciopero:

Eilish, stammi a sentire, l’USNG non è mica la Stasi, stanno solo cercando di esercitare un po’ di pressione, tutto qui, un tentativo di disgregazione e di assillo per cercare di convincerci a fare un passo indietro, noi siamo più di quindicimila e il governo è nervoso, ma non possono mica bloccare una manifestazione democratica, aspetta e vedrai.

In realtà, però, si sta verificando quanto dice Simon, il padre di Eilish, ovvero il governo del Nap sta cercando di cambiare veramente la realtà e nessuno lo può fermare: alla manifestazione degli insegnanti «poliziotti armati di manganello picchiano manifestanti riducendoli a sagome ripiegate», e Larry, impegnato nella manifestazione, è detenuto perché ritenuto un pericolo per la sicurezza e presto sparirà. Eilish osserva che lo Stato è diventato un mostro che porta via il padre a dei figli come un orco, un mostro che controlla i media, il mondo accademico e che ben presto sottrarrà i figli per istituire una leva per la Difesa.

Partire o restare: il dilemma di Eilish

A poco a poco, tutte le città del paese diventano assediate dalla guerra, i beni di prima necessità razionati, e sarà sempre più difficile lasciare il paese: se già era dubbiosa dell’idea di lasciare il paese per il Canada dove vive la sorella Àine, per non lasciare da solo il padre affetto da demenza, per la protagonista ora sarà difficile lasciare definitivamente il paese. Anche Eilish comincia, dunque, a perdere le sue libertà, il suo lavoro, ma soprattutto i suoi diritti:

Lei si definisce una scienziata eppure crede in diritti che non esistono, i diritti di cui parla non possono essere verificati, sono finzioni decretate dallo Stato e spetta allo Stato decidere in che cosa credere o non credere, secondo le proprie esigenze, questo lo capirà anche lei.

Eilish pensa che tutto quello che sta vivendo sia «un ricordo che appartiene a persone di un altro paese, immagini che ha visto infinite volte in tv», ma se è vero che «la fine del mondo è un evento locale […] mentre per gli altri diventa solo un vago avvertimento», per la protagonista la fine del mondo è arrivata.

La fine del mondo come evento locale

Eilish vive lo stesso dramma di tante madri di paesi di guerra e totalitari che vedono a poco a poco i propri figli sparire, che non vogliono lasciare il proprio paese in quanto vogliono attendere il loro ritorno e perché tanta è la posta in gioco. Tuttavia, la protagonista è consapevole di essere arrivata a un punto di non ritorno, che la situazione non migliorerà mai, e di avere ormai perso tutto, persino l’amore per Larry. Fuggire, anche se complicato, resta l’unica cosa da fare:

[…] lei sa benissimo che il peso comincerà sul serio, che quello che si lasciano alle spalle non rimarrà affatto alle spalle, ma continuerà a diventare sempre più pesante e se lo dovranno portare sulla schiena.

Sebbene il senso di colpa per un’eventuale fuga sia intenso, la protagonista non può continuare a stare in silenzio, perché «il silenzio è la fonte del loro potere» e in questo modo la storia resta «una cronaca muta di gente che non è riuscita a partire». Eilish deve partire, lasciarsi tutto alle spalle, perché solo in questo modo la storia non diventa cronaca muta: solo se fugge e se riesce a trovare la luce in fondo al tunnel può dare una risposta al perché avvengono queste derive totalitarie. Raccontando la sua esperienza, potrà dirci che la democrazia è sempre qualcosa di precario che non dobbiamo mai dare per scontato: bisogna sempre mantenere l’esercizio del senso civico per far sì che il mondo non vada alla deriva.

Il canto del profeta di ansie sociali e politiche attuali

Il canto del profeta (acquista) è dunque questo: un monito a non dare le proprie libertà individuali e collettive per scontate. Un avvertimento a difendere con costanza quanto si è duramente conquistato, a fare sempre esercizio di democrazia e civiltà per evitare che la società possa sfociare in altre e pericolose derive totalitarie che possono rendere la distopia realtà. Il dramma di Eilish e un evento locale che bussa a tutte le nostre porte e che ci avverte che ciò che guardiamo in TV, che leggiamo sui giornali e sui libri può un giorno essere reale e farci perdere tutto fino a diventare l’ennesimo capitolo di una cronaca muta ignorata da chi sottovaluta il pericolo dell’estremismo.

Mentre tante altre persone sono sparite, noi siamo quelli fortunati, quelli che cercano una vita migliore, possiamo solo guardare avanti, non è così? Forse un po’ di libertà la si può trovare in questo pensiero, perché almeno ci si può impadronire di un po’ di futuro, almeno nel pensiero, e se si continua a guardare nel passato in un certo senso moriamo, mentre invece c’è ancora un po’ di vita da vivere, i miei due ragazzi, li guardi, tutti e due l’immagine sputata del padre, loro hanno la loro vita da vivere e io farò il possibile perché sia così, e anche i suoi figli, loro devono vivere…

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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