Cosa vuol dire essere donne e madri nel páramo colombiano

«Donne della nebbia» di Laura Acero

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Cosa vuol dire essere donne e madri nel páramo colombiano

Diventare madre vuol dire scendere a compromessi con una nuova vita che dipende da te e fare pace con un corpo che non senti più tuo. Essere donna vuol dire perdere ogni giorno il proprio spazio d’indipendenza

Nel páramo di Sumapaz, un ecosistema freddo e acquoso alle porte di Bogotà, la capitale della Colombia, una giovane docente cura un laboratorio di scrittura per sole donne che, inibite dalla pagina bianca e dall’ordinarietà della vita contadina, poco alla volta si apriranno e racconteranno pezzi del loro passato e presente. Iniziano a scrivere con la stessa naturalezza con cui ogni giorno si scontrano con il sacrificio di essere donne, simbolo di cura, e la stessa pazienza con cui preparano le arapas. Sono le Donne della nebbia di Laura Acero.

A chi lo vede per la prima volta, attraverso il finestrino, il páramo si presenta come una terra arida, rocciosa e spoglia, desertica, fino a quando più dentro, ai lati della strada, iniziano a comparire i frailejones argentei, gli arbusti dai fiori gialli, le piante di puia protese, come in cerca di altezza, e rasoterra i fiori viola, violacei e azzurri. Non somiglia a nessun altro paesaggio visto altrove.

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«Donne della nebbia»: la trama

Pubblicato in Italia da Ventanas Edizioni nella traduzione di Serena Bianchi, si tratta di un romanzo che da personale diventa collettivo e accoglie le voci di Adriana, Julia, Flor, Maribel, Blanquita, Marlene e Anadelina. Per prima, la docente-voce narrante. Pur scontrandosi con la vita rude, non rinuncia a leggere loro Virginia Woolf. Poi, propone tracce di scrittura che rivelano la grandezza e l’importanza del loro ruolo all’interno dell’ecosistema.

La scrittura quindi è il riflesso della storia, delle storie della campagna e delle piccole cose: guardate quanto può essere bello e semplice cuocere le arepas, mungere le mucche, macinare il granturco e crescere i figli, e fate caso a come queste microstorie, a poco a poco, costruiscono la storia nazionale, quella dei grandi nomi. […] Durante il discorso, o meglio monologo, le donne mi guardano e annuiscono, soprattutto quando ripeto che le loro voci sono la cosa più importante

Il primo incontro con la protagonista avviene durante il viaggio verso il páramo, un posto per lei sconosciuto. È da poco diventata madre e soffre la perdita dei suoi piccoli spazi di indipendenza. Non c’è nulla che non vada nella sua vita: riesce a vivere di scrittura in una casa (seppur piccolissima) in una zona centrale di Bogotà, suo figlio è sano e Felix è un padre buonissimo che ama prendersi cura del figlio. Eppure, qualcosa non va. Si sente estranea di fronte alla sua doppia identità di donna e madre. Così lascia la città, il marito e il bambino di pochi mesi, per andare incontro a una realtà ancora più estranea.

Poco alla volta la protagonista si lascia sedurre dall’idea di abbandonarsi nella culla del páramo, un po’ come accadde tempo prima a Adriana, la quale nel corso della storia decide di tornare sui suoi passi: dopo aver abbandonato il figlio e il marito per rifugiarsi a Sumapaz, sceglie di scappare di nuovo, e solo dopo aver donato al laboratorio la sua sofferta testimonianza.

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Le donne di Sumapaz

La docente, che per tutto il romanzo non avrà un nome, osserva e si confronta con le donne e impara a riconoscere la durezza della vita a Sumapaz. E l’unico regalo che può compensare tale fiducia è restituire dignità alla loro storia. È forse questa la chiave dell’intero romanzo.

Donne cresciute in un sistema patriarcale e che portano sulle spalle il peso del dovere, degli abusi e della responsabilità. Queste storie vengono raccontate in modo delicato nonostante le violenze, l’inesprimibile lutto della guerra. Sono donne abituate e assuefatte ai gesti irrispettosi e all’ignoranza, ma non per questo meno sensibili. «Non mi viene in mente una sola donna che non sappia cos’è l’abuso».

Nel potente esordio della giovane scrittrice colombiana Laura Acero il confine tra oralità e scrittura non viene abbattuto ma mescolato. Per dare vita a un qualcosa che supera il diario, il saggio, il romanzo.

Donne della nebbia (acquista) è un libro consigliato a chi nelle storie di fragilità ricerca il coraggio. È una finestra su un mondo in cui la voce interiore diventa un abbraccio fisico in cui lentamente abbandonarsi. Attraverso queste donne e i loro racconti, la protagonista trova rifugio dal dolore di essere madre e quasi succube di quel latte materno che punge nel seno duro. Quel latte che dovrebbe nutrire il figlio. Nel momento in cui è costretta a spremerlo lungo il fiume, diventa un simbolo di qualcosa che ricerca libertà, candore.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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