Questo 2022 si chiude con un anniversario letterario di grande importanza a livello internazionale: il centenario della nascita di José Saramago, nato ad Azinhaga, in Portogallo, nel lontano 16 dicembre 1922. Saramago è un autore che con l’Italia ha avuto un legame molto stretto, e proprio il belpaese lo ha omaggiato nel suo centenario con tante iniziative, come per esempio la pubblicazione di La vedova, romanzo opera prima dell’autore Premio Nobel pubblicato in Portogallo nel 1947, e la biografia per immagine e testi I suoi nomi, entrambi editi da Feltrinelli.
Fra queste, vogliamo ricordare anche quella della casa editrice romana La nuova frontiera, che ha pubblicato per la prima volta in assoluto dieci lezioni che l’autore portoghese ha tenuto dal 1990 al 2003 nel nostro paese in un volume curato da Giorgio de Marchis dal titolo Lezioni italiane.
Il contenuto delle «Lezioni italiane»
José Saramago approda per la prima volta in Italia nell’agosto del 1970. Con il nostro paese e la sua cultura l’autore Premio Nobel instaura un legame quarantennale, durato fino alla sua morte nel 2010. L’interesse per l’Italia si percepisce soprattutto nei suoi romanzi, fra cui Manuale di pittura e calligrafia, che l’autore di Azinhaga definì il suo romanzo più italiano, e in cui si può leggere quanto segue a proposito del belpaese:
L’Italia dovrebbe essere (mi si perdoni l’esagerazione, se in essa non ho compagni) il premio per essere venuti in questo mondo. Una divinità che sia davvero incaricata di distribuire la giustizia, e non gli affanni, esperta d’arte, dovrebbe mormorare all’orecchio di ciascuno di noi, almeno una volta nella vita: “sei nato? Allora vai in Italia”. Proprio come chi se ne va alla Mecca, o in altri luoghi meno contestati, per garantirsi la salvezza dell’anima.
Da Manuale di pittura e calligrafia, trad. di Rita Desti, Feltrinelli, 2010
L’amore che Saramago nutrì per la sua «prima delle altre patrie», come direbbe la sua seconda moglie Pilar del Río, è stato ripagato attraverso numerosi riconoscimenti, fra cui tre lauree honoris causa. Frutto di questo amore sono quindi queste dieci conferenze, tenute fra festival e convegni universitari, raccolte per la prima volta in volume e che racchiudono l’essenza della sua narrativa e della sua idea del mondo.
Le «lezioni italiane»: i principali nuclei tematici
Queste Lezioni italiane – alcune rimaste inedite fino alla loro pubblicazione in volume – possono essere considerate una pubblicazione fondamentale non solo perché forniscono una chiave di lettura importante per l’opera dell’autore portoghese, ma anche perché si confrontano con temi che ancora oggi in letteratura creano dibattito.
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Giorgio de Marchis, curatore delle Lezioni italiane, ci tiene a precisare che, sebbene Saramago non abbia avuto un’esperienza analoga a quella di Italo Calvino, queste dieci lezioni possono comunque essere considerate alla stregua delle Lezioni americane dell’autore del Visconte dimezzato:
Nei rapporti con l’Italia di José Saramago, non vi è notizia di un’esperienza analoga alle “Norton Lectures” ma nelle tante conferenze che lo scrittore portoghese ha tenuto in varie università italiane è possibile rintracciare un’eco calviniana nella convinzione che il romanzo contemporaneo non possa sottrarsi dal “ricevere, come un grande, convulso e sonoro mare, gli affluenti torrenziali della poesia, del dramma, del saggio, e anche della scienza e della filosofia, divenendo così espressione di una conoscenza, di un sapere, di una visione cosmica, come lo sono stati, per il loro tempo, i poemi antichi”.
In queste lezioni Saramago non ci parla solamente della propria vita, ma indaga attraverso i suoi romanzi anche su questioni importanti come l’umanesimo, la Dichiarazione universale dei diritti umani, il rapporto fra la narrazione e la Storia e l’allegoria come strumento necessario per raccontare il proprio tempo.
Il rapporto fra Storia e narrazione
I lettori che già conoscono José Saramago sanno bene quanto sia fondamentale per lui affrontare la Storia dal lato dei vinti e di chi vive ai margini di essa. Nei romanzi saramaghiani non esistono eroi, poiché tutti i personaggi, anche quelli che in apparenza sembrano i buoni, hanno le loro fragilità e debolezze. Per Saramago, il romanzo è uno spazio letterario dove confluisce tutta una visione del mondo e del proprio tempo, compresa la Storia, concepita come Narrazione:
Accogliere ciecamente tale formula ci porterebbe a concludere – generando in questo modo un nuovo caos – che tutto sia fittizio, che noi stessi siamo i prodotti sempre cangianti di finzioni, al tempo stesso autori e personaggi di queste ultime: ognuno in ogni luogo, la storia di tutti nella Storia tutta.
In questa visione della Storia, il pensiero di Saramago ricorda molto quanto disse nel 1987 J.M. Coetzee, un altro Premio Nobel, a questo proposito: la Storia è una categoria posta sulla realtà dai vincitori, e il romanzo deve fornire strumenti nuovi per perseguire uno sguardo autonomo e multiprospettico. Così, dunque, pensa Saramago: la Storia altro non è che frutto di una riformulazione del passato da parte degli storici secondo linee politico-ideologiche precise. Il romanziere deve pertanto «introdurre in essa piccoli candelotti che facciano esplodere ciò che fino ad allora pareva indiscutibile, in altre parole, sostituire ciò che è stato con ciò che avrebbe potuto essere».
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Di conseguenza, per Saramago è impossibile che esista una verità storica oggettiva. Tutto ciò che ci viene trasmesso dal passato è solo una parte della Storia. L’autore, allora, si prefigge l’obiettivo di raccontare l’altro lato della medaglia, la gente comune, e lo fa con l’idea che la letteratura contiene solo una parte del mondo, quella che deve assumere come priorità assoluta la difesa dell’essere umano.
Saramago in difesa dell’uomo
La lezione dal titolo Il diritto e le campane costituisce un fil rouge fra il legame Storia-Narrazione e l’umanesimo. In questa lezione l’autore portoghese racconta di un contadino fiorentino del XVI che suonò le campane a morto declamando la morte del Diritto e denunciando la truffa subita da parte di un signore locale nei confronti della sua terra. Saramago ricorda come abbia letto questa storia in un libretto di cui rammenta non essere riportato l’epilogo, un dettaglio che ci dimostra come la Storia non racconti mai tutto, ma soprattutto come sia frutto di manipolazione:
Ciò che non perdonavo era che i fatti venissero piegati in base alle variazioni del gusto, della convenienza delle ideologie o delle strategie di potere. Non si scherza con le cose serie e non conosco nulla di più serio della storia del genere umano, anche quando a volte ci fa venir voglia di ridere…
È in questo senso che Saramago si definisce, in riferimento a Memoriale del convento o all’Anno della morte di Ricardo Reis, romanziere storico: nel momento in cui sa che i diritti umani vengono calpestati ieri come oggi, che con gli occhi di oggi guarda al mondo di ieri e comprende che il passato è stato profetico per ciò che avverrà nel futuro, come nel caso dei Diritti Umani, diventati mero oggetto di retorica delle organizzazioni internazionali, un patrimonio universale da difendere per far sì che chiunque indistintamente sia libero:
È di questo che voglio parlare: dell’evidenza lampante (lampante per me, non ho la presunzione di supporre illuminazioni universali) che il secolo che bussa alla nostra porta (quanto al millennio, lasciamolo per il momento alla pace beatifica del futuro cosmico) sarà, con molta probabilità, quello in cui si vincerà o perderà la battaglia per la piena affermazione dei Diritti Umani, o per una loro realizzazione parziale, almeno ragionevolmente soddisfacente.
L’allegoria come spazio di riflessione
La Storia e i Diritti Umani conducono Saramago a quella che è la sua riflessione ultima di queste dieci Lezioni italiane, quella che rappresenta un po’ la summa della sua narrativa e che dovrebbe essere rappresentativa della letteratura tutta. Il romanzo deve portare i lettori a riflettere offrendo loro un grande oceano che racchiude conoscenze, esperienze, tracce e segni del passaggio degli esseri umani nel pianeta.
Per assolvere questo compito, il romanzo deve tornare all’allegoria, che si riempie di significati sempre nuovi in base alla realtà contemporanea al romanziere, che, come scrive Saramago stesso in Ultimo quaderno, «deve conoscere il tempo in cui gli è capitato di vivere»:
Più che inventare parole, sebbene possa continuare a farlo, lo scrittore dovrebbe reinventarle ogni volta che le utilizza, infondere loro nuova sostanza, non isolatamene, una a una, ma in relazione alle altre, di modo che possano illuminarsi reciprocamente all’infinito. Un gioco di specchi che sia allo stesso tempo un gioco di luci. Forse, se utilizzata in forma adeguata, secondo l’antica regola del quantum satis, o anche omeopaticamente, l’allegoria potrà cessare di essere quel vetusto strumento di lavoro logorato dall’uso, accantonato perché inutile, e acquistare, come la parola recuperata, un’aria di novità, un qualcosa che sembra creato in quell’istante, ma che reca con sé tutto il sapere antico, gli echi di altre epoche e di altri luoghi, il rumoroso mormorio della vita.
Il romanzo per Saramago non morirà mai finché ci saranno scrittori capaci di rinnovare le parole e le situazioni che raccontano, finché saranno in grado di confluire in esso tutto quello che appartiene al passato e al presente. Finché, dunque, saranno in grado di creare uno spazio di riflessione tale da farci capire quanto c’è di sbagliato nel nostro tempo e quali sono le azioni che possiamo intraprendere affinché ci sia giustizia e libertà.
Saramago: una narrativa in dieci lezioni
Queste piccole perle di letteratura e umanità che sono le dieci Lezioni italiane (acquista) dimostrano ancora una volta la lucidità di pensiero di José Saramago, che a dodici anni dalla morte risulta ancora attuale. Saramago si dimostra essere un autore capace di raccontare il passato con lo sguardo del presente, unendoli in uno spazio di riflessione in grado di aiutarci a comprendere in che direzione va il nostro mondo e come possiamo reagire di fronte a ciò che c’è ancora di sbagliato.
Per chiarire quello che intendo, insisterò sulla domanda che tante volte ho fatto a me stesso: cosa significa voler penetrare all’interno della pietra invece di continuare a descrivere la sua superficie? Se, all’inizio di questo ideale dialogo tra lettore e autore, ho detto che mi interessa sempre meno parlare di letteratura, non è stato per infilarmi in una contemplazione silenziosa degli esseri e delle cose, ma perché credo piuttosto che la letteratura sia solo una parte della vita, del tempo, della storia, della cultura, della società.
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Molto interessante e pure bello! Un articolo che restituisce le parole illuminanti di Josè Saramago.