Mario Soldati era tante cose, quante erano le sue passioni: drammaturgo, romanziere, giornalista, sceneggiatore, regista, storico dell’arte, critico enogastronomico. La sua poliedricità tuttora indimenticata, insieme a una tensione continua alla sperimentazione, fece di lui uno dei protagonisti più versatili del Novecento letterario italiano. La sua eloquenza, che in letteratura si traduceva in uno stile limpido ma ricchissimo, era la sua miglior qualità. Era un intellettuale, ma che sapeva parlar anche al pubblico medio, grazie a una singolare sensibilità mediale. Sopra ogni cosa, Mario Soldati sapeva incuriosire e intrattenere, come i più grandi narratori di tutte le epoche.
Chi era Mario Soldati?
Mario Soldati nasce nel 1906 a Torino, da una famiglia benestante. Il nonno materno lo spinge sin da giovane verso la letteratura, ma dietro spinta della madre il giovane Mario frequenta l’Istituto sociale dei Padri Gesuiti, dove inizia a problematizzare la questione della fede e a sviluppare una propensione per l’introspezione. Il primo grande amore è il teatro, prima in veste di spettatore, poi di autore, con la commedia La madre di Giuda nel 1923 e il dramma Pilato nell’anno seguente. Gli anni dell’università, invece, lo conducono sulla strada dell’arte: Soldati si laurea con una tesi sul pittore Boccaccio Boccaccino.
Il 1929 si presenta come un anno cardine: esce la raccolta di racconti Salmace e giunge una borsa di studio per la Columbia University, a New York. Soldati è entusiasta di potersi creare una nuova vita, lontano da un paese che aveva appena firmato i Patti Lateranensi. Sopraggiungono, tra l’America e l’Italia, due nuove passioni: il giornalismo – con la stesura di articoli per il quotidiano “Il lavoro” – e il cinema, a fianco del grande regista Mario Camerini. Tuttavia, Acciaio, il primo film cui partecipa in qualità di sceneggiatore (non accreditato) si rivela un flop, portando Soldati a un periodo di ristrettezze economiche e incertezze.
Il 1935 è un anno di fervente attività creativa. Soldati, infatti, si è isolato a Corconio, sul lago d’Orta, e scrive a più non posso. Cominciano a formarsi trame di romanzi e a profilarsi riflessioni inquiete; arrivano persino due pubblicazioni, America primo amore per i tipi di Bemporad e 24 ore in uno studio cinematografico per i tipi di Corticelli. Nel 1937, vede la luce in rivista La verità sul caso Motta, il primo capolavoro di Soldati, successivamente edito da Rizzoli. Nel 1939 è invece il turno della prima pellicola da regista, Dora Nelson, una commedia di inganni e sosia. Prosegue col romanzo Fuga in Italia, pubblicato da Longanesi nel 1947, narrazione in forma diaristica della firma dell’armistizio. I primi successi di critica si registrano, al cinema, con Eugenia Grandet, Fuga in Francia e La provinciale. Sul versante letterario, è la raccolta di racconti A cena col commendatore a fargli guadagnare il plauso della critica, nonché il premio San Babila.
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Tra giornalismo, letteratura e altro
Con l’arrivo degli anni Cinquanta, Soldati si appresta a un’altra grande svolta della sua vita. Nel 1954, Le lettere da Capri, edito da Garzanti, gli vale il premio Strega. Nel frattempo, si trasferisce a Milano per collaborare con il “Corriere della Sera”, per il quale scrive anche articoli enologici che preannunciano il reportage di Vino al vino. Segue il perfetto ibrido tra pezzo giornalistico e documentario per la tv, Viaggio nella Valle del Po. Trasmissione di grande inventiva, attira a sé una grossa fetta di pubblico e fa conoscere all’Italia quello che sarebbe stato il personaggio di Mario Soldati: allegro, curioso, alla mano, dotato di una facondia eccezionale. A coronare il decennio ci pensa Arnoldo Mondadori, che garantisce al nostro uno stipendio fisso mensile e pubblica i suoi racconti de La messa dei villeggianti.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, il percorso letterario di Soldati si snoda in due realtà. Da una parte, romanzi e novellieri di raffinata costituzione (I racconti del maresciallo, 55 novelle per l’inverno, 44 novelle per l’estate, Lo smeraldo, La sposa americana). Dall’altra, una produzione più spuria, costituita da articoli giornalistici, diari di viaggio e, soprattutto, le avventure enologiche che andranno a costituire i tre nuclei di Vino al vino. Intanto, la collaborazione con Mondadori inizia a subire un arresto, e Soldati si trasferisce in Rizzoli, dove dà alle stampe L’architetto e El Paseo de Gracia.
Il 19 giugno 1999, all’età di 92 anni, Mario Soldati muore a Tellaro. Si lascia dietro di sé la fama di «più grande media-man della cultura italiana», come ebbe a dire Aldo Grasso sul “Corriere della Sera”, nonché di abile narratore, sullo schermo e sulla carta.
Per iniziare: «La verità sul caso Motta»
Nel 1937 usciva a puntate sulla rivista “Omnibus” il romanzo breve La verità sul caso Motta, un’opera a cavallo tra il reportage giornalistico e il racconto fantastico. La scomparsa in mare dell’avvocato Gino Motta scatena un’inchiesta che tuttavia non conduce a nessuna conclusione: il corpo non verrà mai trovato, ma un ospite di un manicomio presenta una strana somiglianza proprio con il disperso. Il suo compagno sostiene che Motta ha condotto un’esistenza sottomarina in compagnia di una sirena, e poi di uno squalo, per poi essere ritornato sulla terraferma.
Ascoltiamo diversi pareri, assistiamo a scene da differenti punti di vista, ma la sensazione alla fine del romanzo è che non siamo pervenuti ad alcuna verità, nonostante il titolo ci promettesse altrimenti. La fisionomia sfuggente del romanzo è data, soprattutto, dalla mescolanza delle sue istanze narranti. Soldati, infatti, si rifà al tropo tradizionale del “manoscritto ritrovato” e ripresentato da un rifacitore – in questo caso il personaggio del Soldati giornalista – che a sua volta adduce prove incontrate durante la sua inchiesta, con un effetto a incastro che lascia il lettore perturbato. Quando alle fonti più realistiche si scontrano vicende più fantastiche e grottesche, l’esito è un’assurdità ricercata, plateale, non nascosta – una tendenza del Soldati narratore percepibile anche nel suo gusto per il macchinismo romanzesco, che lo porta all’ibridismo di genere e alla gerarchizzazione dei piani narrativi e focali.
Caldissima era l’acqua nella placida valletta: o almeno caldissima parve all’avvocato, i cui bronchi, adattandosi sempre meglio alla loro naturale funzione di branchie, avevano ormai finito di abbassar la temperatura e aumentare la pressione dei visceri. Era dunque nell’acqua il languore, quasi, e il calore di un bagno: e l’avvocato si sentiva sciogliere e disfare.
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Per proseguire: «Le lettere da Capri»
Premio Strega 1954, Le lettere da Capri è un romanzo sul conflitto tra amore e infedeltà. Harry, un ufficiale americano sposato con Jane, si invaghisce della prostituta Dorothea – la stessa donna su cui il narratore Mario, un regista cinematografico, ha posato gli occhi. Il loro matrimonio apparentemente perfetto inizia a sfaldarsi quando la moglie gli rivela di avere un amante, Aldo. Prova della loro storia extraconiugale sono delle lettere che Jane gli avrebbe scritto da Capri, ma che lui non ha mai ricevuto. Harry, tuttavia, non riesce a confessare il suo tradimento, e Jane non lo saprà mai, poiché muore in un incidente aereo. L’americano si riavvicina a Dorothea e torna così in patria, nel tentativo di ricostruirsi una vita. Ben presto, però, Harry vuole ritornare a Roma, e contatta Mario, inviandogli una sceneggiatura che è in realtà il racconto del doppio adulterio della sua vita.
Il romanzo presenta una struttura a cornice, dove le narrazioni in prima persona dei tre personaggi di Harry, Mario e Jane si alternano su diversi capitoli. Segreti, imbrogli, imprevisti – questi sono i motori di trama principali, che danno all’autore la possibilità di porre i suoi personaggi in situazioni emozionali estreme. Una lingua chiara e ordinata, al limite dell’essenziale, cozza con il disordine dell’esistenza che ci pone in circostanze anomale e impreviste. Soldati, inoltre, non nasconde gli influssi autobiografici, soprattutto per quanto riguarda il lato religioso. Sappiamo che aveva un rapporto ambiguo nei confronti della fede, rapporto che si rispecchia nell’urgenza di confessione ed espiazione di Jane, cattolica fervente scivolata nell’infedeltà extraconiugale. La critica scrisse che Le lettere da Capri sono un romanzo sull’inferno, proprio perché la colpa non viene placata dalla riconciliazione con Dio: Jane muore, mentre Harry non confesserà mai.
Per innamorarsi: «Vino al vino»
Vino al vino. Alla ricerca dei vini genuini è un reportage suddiviso in tre parti, uscite in rivista nel 1968, 1971 e 1975, successivamente raccolte in volume nel 1977. L’argomento è il vino, un prodotto, agli occhi di Soldati, vivo e mai uguale a se stesso, specchio della sua gente, rifrazione della sua cultura. Come La verità sul caso Motta, anche Vino al vino è una fusione di generi: racconto odeporico, guida enogastronomica, pamphlet, saggio… L’obiettivo di Soldati è sfatare i miti costruiti attorno al vino: non esiste un vino sempre uguale, nemmeno se prodotto dalla stessa cantina, perché i fattori che influenzano il suo sapore e il suo odore sono molteplici e mai prevedibili. Per questo motivo il vino industriale è un prodotto sofferente, ammansito, costretto a essere ciò che non è. Un vino genuino, al contrario, si configura come una creatura biologicamente autonoma, unica e inimitabile.
La polemica soldatiana è così diretta sia ai produttori, che mortificano il vino alla ricerca della fissità e della serialità, sia ai consumatori, che chiedono un’entità specifica:
Quando sento qualcuno che domanda: “Scusi, le piace il Valpolicella?” penso fermamente che questa domanda equivarrebbe in tutto e per tutto a quest’altra: “Scusi, le piace la Emma?”. “Ma quale Emma?” ci si affretterebbe a precisare. E se vi sentite rispondere: “Ma diamine: l’autentica Emma, qualunque ragazza dal nome di Emma! Non ditemi che non ne avete mai conosciuto una!” che cosa direste? Mentre all’analoga risposta: “Ma diamine: l’autentico Valpolicella, qualunque bottiglia di Valpolicella! Non ditemi che non ne avete mai provato una!” non avreste nulla da obiettare: e sbagliereste.
La critica si estende poi all’intera contemporaneità, che è sì l’Italia del boom economico e del benessere, ma è anche l’Italia del capitalismo e della civiltà dei consumi. Vino al vino va a configurarsi, in sostanza, come un’operazione culturale mirata a diffondere una nuova consapevolezza non solo del vino, ma del nostro patrimonio artistico in toto. Soldati adotta una posizione, in apparenza incongruente, di conservatorismo progressista: non condanna la civilizzazione e lo sviluppo economico, ma neppure dimentica l’importanza fondante del passato e della tradizione.
In copertina:
Artwork by Federica Convertini
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