Oppure quella volta che…

«Fare il possibile» di Claudio Bagnasco

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«Fare il possibile» di Claudio Bagnasco
Copertina di "Fare il possibile" di Claudio Bagnasco

L’ultimo romanzo di Claudio Bagnasco, Fare il possibile (appena pubblicato da Terrarossa Edizioni) condensa la science de vivre dell’autore genovese, tra ironia e malinconia, in un piccolo diario scomposto di istanti tanto fuggevoli quanto importanti.

Frammenti di ricordi

Possiamo parlare di trama soltanto nel senso più lasco del termine: Fare il possibile è una raccolta di 31 (o 33, se consideriamo introduzione e conclusione) frammenti di ricordi, ognuno corrispondente a una data diversa nella vita del protagonista – e ognuno costituente un capitolo a sé stante.

Un protagonista che è anche io narrante, e che ci racconta i punti cardine della sua esistenza, dall’infanzia all’adolescenza all’età adulta, senza consequenzialità temporale. Dalle sue reminiscenze scaturiscono riflessioni sulla famiglia, gli amici, l’amore, lo sport e in generale sul riverbero delle nostre scelte sulla nostra esistenza.

In che senso fare il possibile?

«Si passa la prima parte dell’esistenza a sognare di essere qualcuno (e solo di rado ci si adopera davvero per esserlo), mentre nella seconda parte, di solito, si rimpiange ciò che non si è stati. Cosa resta da salvare, presi in questa morsa? Forse la possibilità di individuare il piccolissimo spazio d’azione che ci è dato in sorte, cercando di servire (nel più ampio ventaglio di significati del verbo) al meglio» – così Claudio Bagnasco spiega in un’intervista il significato del titolo del romanzo. Ognuno di noi, cioè, fa ciò che può, che spesso non è mai abbastanza. L’importante non è vincere – perché la vita non è una gara – ma perlomeno tentare.

L’indole introspettiva che contorna il romanzo è la conseguenza diretta di un’autocritica di Bagnasco stesso, per il quale la stesura è stata «una profonda discesa nella [sua] intimità, quasi una lunga seduta di analisi». Sebbene non ci sia dato sapere il nome del narratore protagonista, di certo non deve essere poi così lontano dall’autore stesso. I due condividono infatti diversi interessi, e chi lo sa quali degli episodi narrati sono parte del suo vero passato e quali no (in un’intervista, Bagnasco dichiara che “[gli] somiglia e non [gli] somiglia”).

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Lo stile di «Fare il possibile»

Bagnasco costruisce il suo romanzo su 31 frammenti di vita che vanno a costituire una sorta di diario scucito, dove i legami temporali vanno a perdersi a favore degli influssi sentimentali. Ogni capitolo inizia con la locuzione ex abrupto “Oppure quella volta”, come se il narratore, incitato alla rimembranza, si perdesse nei suoi stessi ricordi, troppi da raccontare tutti, e li scegliesse casualmente, così come affiorano nella sua mente.

Forse la memoria trattiene più facilmente le anomalie, che in fondo sono gli avvenimenti più marginali, i refusi dell’esistenza.

Come conseguenza di questa struttura alogica troviamo flussi di pensiero elefantiaci, con periodi chilometrici sottomessi al regime fluente della sola virgola (e se è vero che il punto è irrinunciabile per dare del tanto agognato respiro al lettore, esso è tuttavia secondario). È la cosiddetta “virgola passe-partout” che distrugge scale gerarchico-sintattiche per erigere ponti ritmico-emozionali – non a caso, il libro è stato inserito dall’editore Terrarossa nella collana “Sperimentali”.

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Che bella cosa, la vita

Fare il possibile (acquista) è un libro piccolo ma denso: leggibile in qualche ora per chi preferisce un’immersione totale, sebbene i brevissimi capitoli agevolino anche una lettura frammentata. Nelle sue pagine trionfa l’uzzolo di raccontare e rivivere momenti, lasciando da parte i nessi logico-temporali cui siamo normalmente abituati. Tra un episodio divertente e un commento caustico, colpiscono le riflessioni di profonda nostalgia e tristezza che ogni tanto cadono come un fulmine sul protagonista. 

Ho perso per sempre la capacità schietta o istintiva, non lo so, quante parole, di essere allegro dell’essere allegro di un altro.

Romanzo onesto, ma mai brutale, perché anche gli istanti di disperazione sono smussati dall’ironia e ammansiti dalla dolcezza – una dolcezza che viene dalla gratitudine di essere vivi e di riconoscere la propria posizione in questo mondo la quale, seppur piccola, è pur sempre una gran e bella cosa.

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Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all’Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. «Viale del tramonto», «La finestra sul cortile» e «Ritorno al futuro» sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l’animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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