Oppure il diavolo silenzioso che abita l’anima di Natale

«Oppure il diavolo» di Luca Tosi

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«Oppure il diavolo» di Luca Tosi

Distaccarsi dalla provincia in cui si è cresciuti è un modo per rinascere? È una domanda che attraversa molti romanzi italiani contemporanei e – poiché non è possibile trovare una risposta univoca – rimane sospesa, incompiuta. Nel caso di Oppure il diavolo di Luca Tosi (TerraRossa Edizioni, 2025), questa domanda è un’eco insistente, come se fosse l’unica via di fuga possibile. E chi nella provincia si è sempre sentito in gabbia, come il protagonista Natale, lo sa bene.

Ci troviamo a Poggio Berni, in Emilia-Romagna. Una frazione di poche anime dove tutti conoscono tutti e i luoghi di ritrovo sono sempre gli stessi: il bar in piazza, il lago, la chiesa in cui da bambino Natale va a fare da chierichetto per «assicurarsi un posto in Paradiso», convinto che dentro ciascuno ci sia una percentuale diabolica.

Oppure ecco l’inferno della provincia e le ferite familiari

Natale – nato la notte del 25 dicembre – è «un ragionatore» segnato principalmente da due disgrazie. La prima è crescere in un luogo sperduto, tra malelingue e routine immobili, in cui chi è “diverso” finisce presto ai margini. La seconda è essere cresciuto con una madre che non ha saputo amarlo.

Il padre è morto troppo presto, lasciandolo senza ricordi e senza guida, mentre la madre, sola a crescerlo, lo ha nutrito più con odio che con affetto. È una figura dura, insofferente, manesca, che riversa sul figlio la propria frustrazione fino a rendere la casa un luogo di silenzi e recriminazioni («“Se non nascevi era meglio, mostro!” ripeteva almeno una volta al giorno.»). Il loro legame è un inferno domestico che conosce solo una fine: la morte.

Morta lei, io contro io, ero rimasto. Casa nostra era come impagliata. Stanze, corridoi. Tutto incriccato. Un silenzio del diavolo.

Il “male” in Oppure il diavolo non è un’entità esterna, ma una presenza sottile, insinuata nelle pieghe della vita quotidiana. Ha su Natale un effetto ipnotico: lo spinge a riflettere sul senso della vita e della morte, sul fatto che non scegliamo dove e come vivere, perché non siamo mai padroni di cambiare la nostra vita. Allo stesso modo, non scegliamo liberamente il modo in cui morire: «Si chiama destino, dover schiattare senza decidere come?».

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Il suo unico amico è Cesarino: ingenuo, candido, apparentemente immune da qualsiasi tentazione o ombra. Natale di lui dirà: «La percentuale di tracce diaboliche in Cesarino dev’esser dello zero virgola». È in questa contrapposizione che Tosi costruisce una delle intuizioni più brillanti del romanzo: la metafora delle “tracce diaboliche” che tutti portiamo dentro.

[…] m’ero fatto l’idea che un cicinin di diavolo ce l’han tutti dentro, soprattutto i gatti, ma non solo loro. Tipo una percentuale. Come scrivono sui pacchetti di cracker, Può contenere tracce di frutta a guscio, dovrebbero segnare i coppini alla gente con la dicitura: Può contenere tracce diaboliche.

Oppure ecco amori impossibili e desideri sospesi

In questo linguaggio ibrido, diretto e disincantato, Tosi riesce a fondere leggerezza e dolore, filosofia e dialetto, mostrando come il diavolo non sia altro che l’uomo stesso. Ferite e contraddizioni comprese. Natale non è un personaggio cattivo, ma un giovane che cerca di capire cosa significhi essere “cattivo”, e se davvero esista una distinzione tra bene e male: «Posso esserlo un cicinin anch’io, cattivo come gli altri. Penso siano Dio e il diavolo che si contendon me».

Se l’amore familiare gli è stato negato, l’amore romantico è per Natale un territorio altrettanto irraggiungibile. Idealizza una ragazza incontrata in un bar, mai conosciuta davvero, che chiama Lady Diana, costruendola come figura lontana e perfetta. E ricorda un bacio ricevuto una volta da Fabio, un ragazzo scomparso subito dopo, come un lampo di intensità impossibile da trattenere. L’amore, per lui, resta sospeso tra desiderio e immaginazione, ed è in questa mancanza che si misura il suo senso di solitudine.

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«Oppure il diavolo» è un romanzo consigliato a…

Il romanzo, breve ma densissimo, è una parabola sulla fatica di salvarsi da sé. La provincia, da sfondo, diventa personaggio: il luogo in cui si nasce e da cui è impossibile fuggire, che resta addosso come una seconda pelle.

Già autore del brevissimo romanzo Ragazza senza prefazione, Luca Tosi torna a riflettere sulle infinite possibilità che ci proibiamo di vivere per paura, insicurezza o immobilismo. Se leggere l’esordio dell’autore era come passeggiare con un amico che non vediamo da tempo, condividendo la sensazione di precarietà esistenziale e disagi relazionali, leggere Oppure il diavolo è come attraversare un lungo sogno tra nostalgia e rimpianti di un’infanzia che non ci ha insegnato come affermarci. 

In Ragazza senza prefazione, Tosi scriveva: «Mi chiamo Marcello Travaglini, c’ho ventisette anni e mi sento in gabbia». Non siamo poi così lontani: Natale, come Marcello, vive in quella stessa gabbia, in attesa di un estremo gesto che possa liberarlo.

In Oppure il diavolo (acquista), Luca Tosi ci mostra che l’inferno non è un posto remoto. È la casa in cui siamo cresciuti, le parole che non ci sono state dette, l’amore che abbiamo invocato e non è arrivato, e l’ombra di un’insiddisfazione che ci accompagna per tutta la vita. Un romanzo consigliato a chi non ha mai fatto pace con le cicatrici del passato. A chi, dalla provincia o dai legami infranti, cerca ancora la propria via di fuga.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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