Pubblicato da 13Lab, casa editrice sollecita alla cura di nuove voci, L’evento della scrittura è la seconda opera di Sara Durantini. Un libro agile e innovativo, sorretto da una calibrata oscillazione tra trasporto e lucidità analitica nonché dallo sguardo – significativamente “dal margine” – che indaga il genere autobiografico a partire dall’intertestualità.
Del resto, il punto che più indicativamente misura il carattere originale di un’opera è quello della scrittura, un’idea di elaborazione che sappia reggere il tempo. A lungo è stato possibile confrontarsi con testi che dispiegavano la ricchezza della materia, un’abbondanza di vicende in equilibrio con la raffinatezza di idee, con la scoperta di nuovi orizzonti (culturali, scientifici, sociali). Da tempo non è più così, e nessun narratore può immaginare di imporsi con tali schemi, giacché molto è già stato detto e la novità – se mai ce ne fosse bisogno – passa per il lavoro di “organizzazione“, per il modo in cui i temi vengono proposti e rideclinati.
Prima tappa: Colette
L’elemento memoriale, il continuo interrogarsi sulle proprie radici e sulla costruzione di sé risulta centrale nella narrativa europea. Il Novecento francese ha in tal senso fatto scuola, proponendo una serie di testi in cui il dato autobiografico si dilata sino ad accogliere una serie di segni comuni alla collettività, a un orizzonte temporale o di appartenenza di genere. Sara Durantini sceglie come osservatorio privilegiato i lavori di Colette, Marguerite Duras ed Annie Ernaux, tre delle autrici più rappresentative del mélange – mai involontario – tra esperienze di vita e immaginazione creativa.
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La pervasività del dato artistico è evidente in tutto il corpus delle scrittrici, che interpongono il materiale mnesico all’interno di un complesso dispositivo di rimandi artistici o letterari. Si prenda il caso di Colette, che Durantini pone in apertura de L’evento della scrittura allo scopo di sottolinearne il ruolo di «prima portavoce» dell’«autobiografismo femminile proprio del Novecento». La studiosa parte dall’analisi di Chéri, pubblicato nel 1920 e debitore, con tracce diffuse eppure sfumate, dell’opera di George Sand e Marcel Proust.
«L’evento della scrittura», tra intertestualità e stile
La frammentarietà dell’essere, tematica base della Recherche, è inserita dall’autore francese in «uno scenario ideale», dove «perversione e morbosità» derivano – a livello stilistico e di atmosfera – da François le Champi, romanzo di Sand uscito a puntate sul Journal des Débats nel 1848. Quest’eredità, se così possiamo chiamarla, transita nei testi di Colette incardinandosi in tematiche che Durantini evidenzia con acume: la frantumazione dell’esistenza, la ricercata carnalità, l’incesto come motivo che sottende conflitto, desiderio, «angoscia della mancanza».
Ma si legga quanto scrive l’autrice in merito al linguaggio:
Alla dimensione incestuosa Colette contrappone il carattere della sua scrittura, difatti non possiamo non dare rilievo alla penna dell’autrice che abilmente riesce a descrivere un tema che, pur non essendo inedito nella letteratura francese dell’epoca, appare sotto una nuova veste stilistico e semantica.
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È questa prospettiva a guidare L’evento della scrittura; come per l’autrice di Saint-Sauveur-en-Puisaye, anche Duras ed Ernaux dispiegano un impegno continuo e accanito di linguaggio, di ritmo, di lavoro sulla parola. Nulla è lasciato al caso, per questo Durantini sceglie un approccio a metà tra il saggio e la narrativa, per garantirsi una sorta di immersione nella bottega delle scrittrici, così da riviverne gli umori, i tentennamenti, persino i momenti catartici.
La tecnica dell’immersione
Colpisce il personalissimo avvicinamento alla scrittura di Duras, approcciata a vent’anni, in autunno, mentre «il Parco Ducale di Parma era un manto ambrato». C’è una connessione sensoriale, un tentativo di andare incontro alla «mancanza durassiana seguendo le tracce sepolte in alcuni suoi libri, che corrono “al culmine delle parole”».
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Qui, come in parte sarà per Annie Ernaux, Durantini guarda al recupero dell’anamnesi in chiave ibrida, segnalando il contatto tra Duras e il cinema e quel liberatorio scarico di coscienza che procede dalle immagini, dal tentativo di dire mostrando, lavorando per sottrazione di parole. Non è un caso che l’avvicinamento all’autrice de Gli anni avvenga per istantanee, «fotografie di momenti offuscati dal tempo che hanno acquistato, negli anni, sempre più chiarezza».
«L’evento della scrittura» in rapporto al sé
La studiosa procede per acclimatazione, come se la sua forma espressiva dovesse disegnare un continuum tra l’analisi del testo e la lettura, tra il proprio sguardo e il metodo dell’autrice in oggetto. Così si indaga l’”io” che dice “noi“, quella narrazione svelante che è occasione di commento allargato alla condizione umana, alle sue trasformazioni. Il tutto sulla base dell’intreccio tra motivi “veri”, ovvero legati all’umanità, e “fallaci” perché intesi in rapporto al sé, al proprio fatto privato.
È questo L’evento della scrittura (acquista), un folgorante viaggio nel femminile rimemorante, in cui percezioni e ricordi, convinzioni ed esperienze formano un agglomerato inclusivo, un insieme di frammenti dall’intento epistemologico.
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