Chi è esperto di poesia sa che non si fa poesia soltanto parlando di se stessi, ma anche di oggetti attraverso cui si possono raccontare delle storie. Quest’ultima figura retorica è definita ecfrasi, e consiste nel cucire un racconto attorno a un oggetto. Esempi eccellenti di poesie ecfrastiche sono Le Grazie di Ugo Foscolo, Ode su un’urna greca di John Keats, ma anche Il carosello di Rainer Maria Rilke. Questi sono esempi di poesie che attraverso immagini precise – delle statue, un’urna e un carosello in questo caso – sono riusciti a parlare di temi universalmente noti come il culto della bellezza come ideale alto di esistenza e la caducità del tempo e dell’esperienza umana.
Esperienza analoga è capitata al poeta siriano Nouri Al Jarrah, che scoprendo una lapide nei pressi del Vallo di Adriano con una scritta in latino e una in palmireno – dialetto aramaico occidentale che si parlava nell’attuale Siria – ha dato vita a Il serpente di pietra (edito da noi per Emuse), ultima fatica poetica che ci regala una storia d’amore che è anche un canto di libertà, esilio e incontro-scontro fra culture.
Il contenuto di «Il serpente di pietra»
Il serpente di pietra è, come recita il suo sottotitolo, L’elegia di Barate alla sua amata Regina. Il primo è un palmireno, la seconda una celta. Entrambi i nomi, però, sono dei soprannomi: Barate significa “figlio di Atergate”, una dea simile ad Afrodite venerata dai palmireni per i suoi valori di amore, libertà e giustizia; Regina, invece, è un soprannome che il giovane – forse un mercante, forse un prigioniero, forse un tiratore d’arco dell’esercito romano – dà alla ragazza per darle dignità e libertà dalla schiavitù imperiale. Abbiamo da un lato una figura che rappresenta la poesia e la libertà, che dà voce agli oppressi, e dall’altro una che rappresenta i popoli oppressi e privati della propria identità.
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La storia d’amore fra i due giovani fa emergere anche un’altra verità, quella dei morti le cui anime «vagano sulle cime degli alberi». Questi morti di cui si nutrono vermi e microrganismi sono i guerrieri che hanno esalato l’ultimo respiro e i potenti che con la loro forza hanno cercato di imporre a popoli invasi le loro usanze rimuovendo ciò in cui non si riconoscono. La storia di Barate e Regina è anche la storia di un’unione sofferta e difficile fra popoli di diversa mentalità, dove il più debole ha perso la libertà e i suoi valori a scapito del più forte.
La storia sincretica del «serpente di pietra»
In questa sua nuova raccolta poetica, Al Jarrah ci racconta una storia proveniente da lontano – e che il traduttore Gassid Mohammed ha reso molto bene con un linguaggio dal sapore epico e antico – che in realtà molto racconta del nostro presente e di quello del poeta. In Barate possiamo riconoscere lo stesso Al Jarrah, un poeta siriano che vive in esilio a Londra dagli anni Ottanta, e che come il guerriero palmirano vive l’esperienza dell’esilio, l’arrivo a un nuovo paese, ma soprattutto il dovere di ricordare il proprio popolo oppresso.
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La storia di Barate e Regina, inoltre, è una storia che fa riferimento a una situazione più universale, non soltanto per il fatto che i loro nomi sono, in realtà, dei soprannomi che potrebbero essere applicati a chiunque, ma soprattutto per la natura di questa storia. La loro storia è inscritta infatti su una lapide del Vallo di Adriano risalente al I o II secolo d.C., momento storico dell’impero romano non solo di grande espansione, ma anche contaminazione con popoli stranieri da loro definiti “barbari”.
Dato questo contesto, è importante sapere come ai tempi l’impero romano, sebbene fosse diventato multiculturale, fosse comunque repressivo nei confronti degli stranieri, di coloro che definivano barbari. Questo è, dunque, il contesto sincretico in cui si svolge la vicenda: la discriminazione e cancellazione culturale dei Celti e dei palmiriani corrisponde alla discriminazione e quasi cancellazione di identità altre che certe culture vivono ancora oggi nel resto del mondo.
L’incontro fra culture
Prima di parlare dell’amore in sé fra Barate e Regina, ci si soffermerà sul contesto in cui questa storia d’amore si svolge. Il contesto è, infatti, quello dell’allora isola di Britannia – corrispondente all’attuale Gran Bretagna – dominata dall’impero romano che, per arginare l’invasione delle tribù del nord, fanno erigere la muraglia del Vallo di Adriano:
Che ci faccio io su questa muraglia, con questi mirabili tiratori,
in questa nebbia che vaga sui versanti e sugli alberi,
scendendo fino alla riva del fiume; con queste ondate urlanti
che s’infrangono sulle pietre dei fortini, veementi si sospingono
su questa parte della terra di Cesare. Sono celti dai crani rasati,
e visi colorati come i fiori!
Davvero sono barbari?
Il contesto che ci illustra Barate è una realtà multiculturale fatta da tiratori d’arco provenienti dalla Siria, «schiavi da Samo, gladiatori dalla Tracia e tagliatori di pietre dalla Toscana», «soldati macedoni», «tolemaici alessandrini che filosofeggiano, itureani damasceni e yabruditi ironici e giganteschi punici dalla lontana Cirta», dove «camminerà il barbaro accanto al nobile». Questa realtà, però, ci racconta Barate è stata creata imponendo l’identità romana ai popoli sottomessi, che più che vivere in libertà vivono con rabbia il fatto di essere dominati da altri e di essere dimenticati dalla Storia:
Ogni volta che sulla muraglia
scoppia il tumulto,
ecco che il silenzio con colpi impercettibili
sovrano s’impone.
Allora vaga sui bassi fortini la nebbia,
sulle tracce perse insieme al tempo.
L’incontro fra queste culture – quella di dominazione romana e quella sottomessa delle periferie dell’impero – è un incontro in cui a guadagnarci è soltanto l’impero romano. Questa è, per l’io lirico, «l’illusione di grandezza» che invece di portare prosperità ha causato morte e devastazione non soltanto di persone, ma anche di tradizioni e dunque di identità.
L’amore di Barate è la forza memoriale della poesia
Qui entra in gioco, allora, Barate, il tiratore d’arco o mercante senza nome che da Palmira, la terra del “miracolo” come recita il suo nome in aramaico, viaggia fino alla Britannia per vedere da vicino la grandezza dell’impero, ma allo stesso tempo la scia di morte e distruzione che ha portato con sé come nella battaglia di strada Watling che pose fine al regno degli Iceni e portò a morire la regina Boudicca e la sua famiglia:
I vermi soltanto prosperano,
mentre i corpi si dilaniano
e precipitano
sul campo del massacro.
Nel loro attorcigliarsi, nell’ultima tenue luce del giorno,
quei vermi sembrano
l’ultimo segno del tempo.
Una volta arrivato in Britannia e attratto da Regina che porterà via dall’accampamento in cui faceva da schiava, l’io osserva attorno a sé i segni della morte e del tempo che cancella le tracce di coloro che sono esistiti prima degli invasori. Tutto ciò è sotto forma di una nebbia che pervade l’ambiente circostante, che rende gli dèi ciechi di fronte ai massacri e la primavera «una rovina di passi su terreno spaccato». Barate si chiede, dunque, se sia lui quello che deve correggere gli errori commessi dagli dèi, e la risposta arriva proprio dall’unione con Regina:
Tutto ciò che presso i focolari a noi narrarono,
coloro che seppellimmo nelle lontane colline
ce lo donerà la terra, nelle estati.
Barate, dopotutto, non soltanto è figlio di Atargate, ma è anche tutelato da Baal, dio del clima, del mare e della fertilità: è colui la cui venuta deve riportare la giustizia in una terra privata ai suoi popoli, ed è colui che deve far nascere un nuovo ordine. Per fare questo, deve unirsi a una schiava d’Occidente che chiama “Regina”, perché ogni tradizione, cultura e popolo ha la sua nobiltà e la sua bellezza, ed è solo trattando le varie culture come pari che si ottiene la libertà e la giustizia.
Dare nuova forma al mondo
A partire da una rovina del tempo, Nouri Al Jarrah ha costruito un canto di libertà e amore che è Il serpente di pietra (acquista). Quella del poeta siriano non è una semplice ecfrasi, non è una semplice elegia: è un canto che parte dal passato per cercare di parlare al presente per un avvenire migliore. È il canto di un poeta che anche dall’esilio continua ad amare la sua terra, che crede ancora nella difesa della molteplicità di culture e tradizioni diverse come unico modo per costruire un futuro di pace e prosperità. La pace e la prosperità, inoltre, arrivano attraverso la memoria di popoli e culture che rendono florido il mondo come lo conosciamo oggi.
Il vuoto è una maestria di lavoro più antica di quello dei muratori,
vuoto dopo una riga,
vuoto dopo una parola
vuoto
nel
vuoto.
Vuoto che s’allarga sotto la vetta
affinché
c
r
o
l
l
i.
E così si è celato dietro le tempeste
il tempo del canto
di cui il fuoco ha divorato
le afflizioni descritte.
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