Avere un disturbo alimentare non vuol dire semplicemente odiare il proprio corpo ma sentirsi prigionieri, desiderare di avere il totale controllo su di esso. E Rachel, protagonista di Affamata di Melissa Broder (NN Editore, traduzione di Chiara Manfrinato) ha fatto della sua fame un’ossessione. Non riguarda solo il cibo ma soprattutto l’amore, materno e relazionale.
Rachel è affamata continuamente e, tra una barretta proteica da deglutire con parsimonia e uno yogurt ipocalorico al giorno, desidera mousse di cioccolata in cui affondare le dita, cupcake con glassa al cioccolato, donuts ma anche burritos, formaggio, pizza… No. La sua quotidianità è fatta di privazioni, calorie da contare e poi consumare in palestra.
Non importa dove vivevo: Mid-City, Mid-Wilshire o Miracle Mile. E non importa nemmeno dove lavoravo: una fabbrica di strozzate hollywoodiane vale l’altra. Importa solo cosa, quando e come mangiavo.
Venticinquenne vive a Los Angeles e – oltre a qualche serata di standup comedy al Che schifo di show – lavora in un’agenzia di talent management, dove i talent sono attori di Hollywood. Il suo capo parla dell’azienda come di una “famiglia”, e in un certo senso in questa idea Rachel ci casca. Rachel fa di tutto per essere ammirata da Ana, la sua capufficio cinquantenne, vuole piacerle davvero e non come collega o amica. «Ana era l’unica figura materna che mi restava.»
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Scavando nella vita personale di Rachel scopriamo che ha da qualche giorno iniziato un periodo di detox da sua madre: ha interrotto ogni tipo di rapporto e comunicazione con la donna che le ha instillato il culto della magrezza.
«Devo confessarti una cosa» avevo detto a mia madre. «Penso di soffrire di un disturbo alimentare, forse di anoressia».
«Le anoressiche sono molto più magre di te» mi aveva risposto.
Pur soffrendo da matti, Rachel riesce a mantenere il controllo su se stessa in modo straordinario, fin quando non incontra Miriam. L’unica cosa che hanno in comune: sono ebree. Anzi, Miriam è un’ebrea ortodossa, figlia di una famiglia molto osservante.
E soprattutto era grassa: innegabilmente, incontrovertibilmente grassa. Non era robusta, formoso o paffuta. Era più che carnosa, eclissava l’idea di robustezza. Era proprio grassa, come io non riuscivo a immaginarmi nemmeno nei miei incubi peggiori. Ma sembrava ignorarlo o fregarsene alla grande.
È la nuova commessa dello Yo!Good, tappa quotidiana di Rachel per il suo yogurt bianco, ipocalorico senza topping aggiunto, in pausa pranzo. Rachel si sentirà attratta dalla sua corporeità: il pensiero di tuffarsi in quelle curve morbide e bianche scatenerà in lei una passione erotica incontrollabile. Tra assaggi di yogurt, cene in ristoranti cinesi kosher e vecchi film al cinema, Rachel s’innamorerà perdutamente. E anche Miriam. Lentamente ma inesorabilmente, finiranno a letto insieme e le pagine dedicate alle “sette notti” d’amore fisico tra le due sono particolarmente focose. Non possiamo negare che è un libro sexy in modo vertiginoso.
Per Rachel sarà l’inizio di un cambiamento difficile da controllare. Miriam la aprirà a un rapporto sregolato con il cibo, che da privazione sfocia nell’eccesso opposto: se ormai il numero delle calorie è stato ampiamente superato, Rachel si lascia divorare dal vortice della fame comprando e poi divorando qualsiasi tipo di cibo spazzatura. Poi, i sensi di colpa. Le punizioni. Di nuovo la fame.
Non solo: Miriam la invita tra le mura della sua casa per la cena dello Shabbat. Il tavolo della sala da pranzo dei genitori di Miriam, così, diventa teatro casalingo di scontro sui grandi temi della religione e dell’occupazione israeliana della Palestina. Ma, soprattutto, un luogo in cui Rachel si sente libera di celebrare una personale liberazione fisica, lontana dal controllo di sua madre.
Rachel è inevitabilmente innamorata e Miriam è per lei l’esplosione della rivoluzione, ma è un amore che deve fare i conti con la famiglia ortodossa ebrea di Miriam e con le ipocrisie del suo ambiente lavorativo.
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Camminando lentamente sotto il sole per rientrare in ufficio, avevo stabilito alcune grandi verità. Che l’amore è avere in bocca del cibo che non fa ingrassare. Che il desiderio è avere in bocca del cibo che invece fa ingrassare. Che l’indomani subentra la paura. La paura di aver avuto in bocca del cibo che fa ingrassare. La paura di avere ancora fame anche se hai già consumato tutte le calorie che ti spettano. La paura di non riuscire più ad attenerti al regime che ti sei imposta.
La scrittura di Melissa Broder è divertente, provocatoria, sviscera nei desideri reconditi della protagonista per poi contraddirsi. Lo stile subisce l’evoluzione del personaggio, attirando il lettore in un trascinante flusso di coscienza: il rapporto tossico con la madre, col cibo, con i colleghi di lavoro, col proprio corpo, e persino con Miriam e la sua famiglia, è reso in modo molto realistico. Saranno questi i temi dell’ormai portata principale. Come contorno, bambole voodoo, sogni premonitori e biscotti della fortuna che non mentono mai. Rachel si scontra e s’incontra con il suo golem per affrontare definitivamente le sue paure lontane e le incertezze del presente. E rimodella il futuro come terracotta, per una volta senza timori.
Affamata (acquista) è parte della serie NNE Le Fuggitive, come scrive nella nota finale la traduttrice Chiara Manfrinato: «è un libro fatto per il 60% di cibo, per il 30% di sesso e per il restante 10% di ebraismo e mommy issues». Un romanzo consigliato a chi desidera trarre sano divertimento dalla lettura, ma anche spunti di riflessioni sulla quotidianità che ci attanaglia. Dedicato a chi quella fame d’amore la subisce giorno per giorno, e fatica a resistere fino a farsi del male per poi lasciarsi andare alla rivoluzione.
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