Anatomia del terrore

«A ciascuno il suo terrore» di Alessandro Garigliano

12 minuti di lettura
A ciascuno il suo terrore

Cosa succede quando ascoltiamo notizie su attacchi o minacce terroristiche? E cosa succede a chi soprattutto li vive di prima persona? Nella testa delle persone si avviano meccanismi che portano a sensi di colpa, senso di sopravvivenza e di allarme. Quest’ultimo caso è talmente preoccupante al punto che, se dovessimo trovare uno zaino abbandonato da qualche smemorato in treno o in metro, urleremmo tutti all’allarme terrorismo al punto da interrompere la circolazione dei mezzi per ore e ore per eventuali controlli anti-terrorismo. Questo per dire che anche una sciocchezza come abbandonare per sbaglio degli effetti personali in giro può scattare meccanismi d’allarme generati dal trauma.

Una volta che ne si sente parlare, il terrorismo diventa talmente parte della nostra vita che fa emergere le nostre ossessioni e isterie peggiori che condizionano la nostra vita, ci rendono diffidenti verso gli estranei e ci fanno cercare ostinatamente un modo per proteggerci da questo male. Di tutto questo si occupa l’autore siciliano Alessandro Garigliano nel suo terzo romanzo A ciascuno il suo terrore, edito presso la casa editrice pugliese TerraRossa Edizioni sette anni dopo il suo ultimo libro Mia figlia, Don Chisciotte (NN Editore).

La trama di «A ciascuno il suo terrore»

Sebbene non ci siano riferimenti temporali e geografici espliciti, A ciascuno il suo terrore si apre con una tragedia avvenuta nel piazza del duomo durante una proiezione di finale di Champions League, evento simile a quanto accaduto in Piazza San Carlo a Torino il 3 giugno 2017 in occasione della finale di Champions League fra Real Madrid e Juventus, al punto che sembra che il romanzo sia ambientato proprio in quell’occasione. Durante questa proiezione, si sentono degli scoppi che portano a un’isteria di massa tale da portare la gente a fuggire impazzita e a travolgere, ferire e persino portare alla morte delle persone.

A questa tragedia prendono parte il protagonista, di professione cameriere specializzato in vini, e la sua fidanzata, che da questo evento restano traumatizzati se non addirittura ossessionati. Il protagonista difatti è ossessionato dalle ragioni di questo presunto attentato al punto da voler conoscere da vicino il presunto kamikaze da un lato, e dall’altro a guardare ossessivamente una serie tv incentrata sul cannibalismo, in particolare quello sui bambini. Tutto questo dovrebbe portare il protagonista a cercare una risposta sul perché dei kamikaze, e soprattutto a indagare il sentimento di essere sopravvissuti delle vittime.

Indagine fra realtà e finzione

Alessandro Garigliano si addentra all’interno di una storia che già quattro anni fa Giulia Lombezzi in La sostanza instabile aveva affrontato. Entrambi gli autori partono dalla vicenda di Piazza San Carlo, ma intraprendono, però, strade differenti: se Lombezzi si concentra sui singoli individui e sulla dicotomia fra altruismo ed egoismo, fra proteggere gli altri e salvare sé stessi, e proietta l’episodio di piazza San Carlo a Milano al Parco Sempione in occasione degli Europei dando coordinate geografiche specifiche, Garigliano invece si concentra sui postumi della tragedia, indagando a posteriori i probabili motivi che l’hanno causata e sul senso di essere sopravvissuti dei protagonisti senza dare coordinate geografiche e temporali precise, universalizzando così la vicenda raccontata.

Come nel precedente Mia figlia, Don Chisciotte, anche stavolta l’autore di Misterbianco fa uso di riferimenti specifici per affrontare tematiche universali. Se nel suo ultimo romanzo usa la celebre opera di Cervantes per parlare della paternità e delle sue responsabilità ai tempi del precariato, in A ciascuno il suo terrore fa riferimento a episodi reali come l’attentato alla stazione di Atocha, quello di Londra e a figure come quella di Mohamed Atta e Anders Breivik per anatomizzare le ragioni dei kamikaze e i sentimenti di chi sopravvive alle stragi.

La città dopo il terrore

Un esempio di come il terrore influenzi le nostre vite è il modo in cui percepiamo gli spazi. Ricordando un evento della propria infanzia, il protagonista senza nome pensa a come, dopo un evento importante come la strage della piazza oppure il ritrovamento di un cadavere in un monumento quando era bambino, non vi sono «recinzioni che tracciavano un confine tra l’attualità e la Storia». Tutto questo ci porta difatti a «guardarsi per paura le spalle ogni cinque secondi», in quanto un avvenimento che dovrebbe ormai considerarsi passato continua a traumatizzarci anche nel nostro qui e ora impedendoci di vivere con serenità la quotidianità.

Il centro cittadino per il protagonista diventa una sorta di percorso a ostacoli, un labirinto di paura che gli fa attraversare la città stando sempre agli angoli dei negozi per prevenire eventuali disastri di massa:

Sebbene ci siano dappertutto negozi, procedo verso l’angolo che prediligo marciando e ignorando le vetrine. […] Dopo la strage qui sono state installate barriere anti-terrorismo e mi tocca fare lo slalom tra le fioriere anti-sfondamento per ammirare lo scorcio in cui mi immergo ogni volta che erro per la città. In seguito al pandemonio scoppiato ormai da più di un mese, però, non posso che guardarlo con occhi diversi: proprio in quell’angolo alcuni uomini in fuga erano caduti nel fiume e altri erano precipitati lungo le scale sbattendo contro la seicentesca Fontana dei sette canali.

Leggi anche:
Cicatrici americane

Nel percorrere la città, il protagonista si sente spesso confuso se non addirittura “sporco” come afferma lui stesso. Queste sono alla fine le sensazioni di uno che è sopravvissuto alla tragedia: da un lato in cerca di risposte sul perché sia sopravvissuto e sul senso che ha avuto una tragedia del genere, e dall’altro si sente in colpa per poter continuare con la propria vita mentre qualcun altro è rimasto fortemente traumatizzato dall’evento se non addirittura vi ha perso la vita.

In cerca di risposte

Per trovare una soluzione al proprio smarrimento, il protagonista cerca risposte non solo nelle serie tv, ma anche in un artista di strada che lavora come animatore alle feste per bambini, che l’uomo considera probabile attentatore:

Da un lato la serie tv sul cannibalismo, dall’altro il terrorismo che mi ossessiona ed è presente in ogni mezzo di comunicazione di massa, sui social, nei posti di blocco. Vorrei andare a fondo e capire le origini, per quale motivo gli esseri umani compiono atti che marchiamo come immondi, efferati. Mi ostino a spulciare nei libri provando a scovare impalcature teoriche che sorreggono simili gesti. […] Il territorio, anziché essere tenuto sotto controllo da chi dovrebbe difenderlo, sembra un campo in cui la pianificazione di trame procede libera d’improvvisare: sfociando spesso in storie in grado di squadernare la complessità dei romanzi.

I mass media difatti contribuiscono ad acuire il senso di paura, e sotto certi aspetti anche di aggressione e diffidenza, che vive il protagonista, che ad esempio vede nell’incontro con il presunto kamikaze in un centro sociale come un probabile reclutamento in una cellula terroristica, quando in realtà l’animatore con i suoi conoscenti parlerà di precariato e mancanza di prospettive per i giovani, mentre nella sensazionalità delle serie tv trova un’amplificazione del terrore, al punto che si identifica con i bambini che spesso vede uccisi e cannibalizzati, in quanto si sente persona innocente esposta a ogni pericolo e la cui probabile morte sarebbe funzionale a una specie di disegno spirituale.

Leggi anche:
Raccontare il dolore di chi resta

Tutte queste elucubrazioni portano il protagonista al punto zero – e non è un caso, infatti, che il libro si apra e chiuda con un capitolo dal titolo “Zero”. Il protagonista comprende quanto segue: «prima per la Guerra Fredda e ora per la minaccia del terrorismo, viviamo in un perenne stato di sopravvivenza, e come tutti i sopravvissuti siamo posseduti dai sensi di colpa e da un’aggressività astratta e furiosa». Non vi diremo se effettivamente l’animatore sarà responsabile della tragedia nella piazza del duomo o meno, ma quello che vi diremo è che il terrore è qualcosa da cui è impossibile fuggire, in quanto ci mette sempre in una posizione d’allarme, in uno stato di perenne assedio che porta a non fidarci di chi ci sta attorno e a sentirsi sempre sull’orlo della morte.

Stato perenne di sopravvivenza

Quello che prova a fare Alessandro Garigliano in A ciascuno il suo terrore (acquista) è qualcosa che poco si vede nei libri che si leggono sul tema del terrorismo: l’autore siciliano non si concentra tanto sui motivi degli attentati o delle tragedie di massa in generale, quanto sui loro postumi, sulla psicosi che pervade la nostra quotidianità. Garigliano ci mostra attraverso il suo protagonista come il terrore sia alimentato soprattutto dai media, e come questo influenzi di molto non solo il nostro legame con gli spazi che viviamo, ma anche le nostre relazioni con gli altri, che spesso diventano oggetto delle nostre ossessioni.

Ma io insisto, mi piacerebbe scoprire cosa ha comportato il dolore. L’ossessione è qualcosa da cui non smetto di essere attratto e, da una persona con molti più anni di me, voglio sapere cosa si provi ad annichilirsi in una tragedia e se sia possibile o sia un mito trovare catarsi. Ma lei ride, scuote la testa, non riesce proprio a smettere di ridere. La guardo interrogativo e risponde che nella fossa non aveva visto altro che cenere terra vermi schegge di ossa.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.