Dio, la famiglia, l’America secondo Jonathan Franzen

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crossroads

Secondo molti, è stato il miglior romanzo del 2021. Sicuramente, è stato uno dei più attesi, grazie soprattutto alla fama del suo autore, che negli anni ha saputo catalizzare su di sé l’attenzione di lettori e case editrici di tutto il mondo: Jonathan Franzen. Risaliva al 2015 il suo ultimo romanzo, Purity, mentre si deve tornare indietro di ben vent’anni per la pubblicazione della sua opera più nota: Le correzioni. Ma adesso, parliamo di Crossroads, in Italia pubblicato da Einaudi nella traduzione di Silvia Pareschi, e primo volume dell’annunciata trilogia A Key to All Mythologies.

«Crossoroads»: una famiglia americana

È l’Avvento del 1971 e nella periferica e fittizia New Prospect la famiglia Hildebrandt si prepara a vivere il Natale; un periodo speciale per molti e per loro in particolare, poiché il padre di famiglia, Russ, è il pastore della piccola ma attivissima comunità locale.

Ad occupare i pensieri di Russ, tuttavia, non è l’imminente festeggiamento della nascita del Signore, bensì un altro tipo di presenza salvifica: Frances, una donna giovane e attraente che, dopo la morte del marito e l’arrivo a New Prospect, per passatempo e gratitudine decide di offrire il proprio contributo all’interno della comunità.

A soffrire della nuova distrazione di Russ è prima di tutto sua moglie Marion, che, spogliata del ruolo di consorte e complice, sprofonda nei dolori e nelle paranoie di un passato che credeva – e voleva – sepolto, ma che scalpita per tornare in superficie.

In mezzo a questa crisi matrimoniale, i quattro figli della coppia: lo studioso Clem, la Barbie Becky, l’indecifrabile Perry e il dolce Judson. Lungi dall’essere meri personaggi di contorno alla narrazione del disfacimento dell’unione dei genitori, i giovani Hildebrandt portano con sé esperienze, pensieri e timori personali, diventando anch’essi, a tutti gli effetti, protagonisti.

Una famiglia di singoli

Dunque si potrebbe definire Crossroads un romanzo familiare? Sì e no. Sì, perché la famiglia Hildebrandt ne è il fulcro; no, perché sarebbe più opportuno parlare di fulcri, al plurale. Infatti, i sei protagonisti non agiscono mai insieme, come un corpo unico e sinergico. La “famiglia Hildebrandt” esiste solo di nome; ma, di fatto, ci sono cinque (piccolo Judson a parte) persone egoiste ed egocentriche che pensano, decidono e agiscono indipendentemente e separatamente dagli altri membri del nucleo familiare, che di nucleo, quindi, ha poco e nulla.

Tuttavia, se tra i protagonisti di Crossroads intercorrono un’abissale distanza emotiva e una desolante mancanza di empatia, vi è però un sentimento che li accomuna vigorosamente, quasi violentemente: il senso di colpa. Il timore del giudizio (umano e divino) tormenta i protagonisti, costantemente avviluppati in estenuanti rimuginii riguardo alle proprie azioni e ai propri desideri. E se il senso di colpa è lo stesso, è la medesima anche la conseguenza: il raggiungimento del punto di rottura.

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Così in Crossroads la narrazione si fa più intensa quando i personaggi, uno dopo l’altro, desistono dal voler essere brave persone che fanno la cosa giusta e decidono, più o meno consciamente, di abbandonarsi alle conseguenze; anzi, di fregarsene. Dopo la caduta del velo dell’ipocrisia piccolo borghese – ricorrente nelle opere di Franzen – rimangono sei esseri umani fragili e danneggiati, alle prese con le proprie (auto)distruttive debolezze.

A rendere tale panorama ancora più amaro è il disallineamento tra aspettative e realtà: dopo aver lottato inutilmente contro i propri impulsi e contro quel desiderio che si era fatto ossessione, ed avervi infine ceduto, nella speranza che la dannazione eterna potesse essere almeno in parte compensata da un momento di gioia e di piacere estremi, ciò che si para davanti ai protagonisti è invece mediocre e deludente. Ma tornare indietro non è più possibile.

Fede fai-da-te

Nonostante la professione di Russ, la deviazione di Marion e l’educazione cristiana dei figli, nella descritta lotta contro il male e la tentazione, Dio non appare quasi mai, se non nel mezzo di preghiere ipocrite e sermoni cuciti su misura a giustificazione dei propri errori.

A dare il nome al romanzo è un gruppo giovanile di incontro e confronto all’interno della chiesa di Russ; ma quello stesso gruppo vede vacillare le proprie fondamenta quando alcuni ragazzi si lamentano che il nome di Dio viene fatto un po’ troppo spesso. Attirati più dalla moda hippie e dalla possibilità di condividere droghe leggere, piuttosto che dalla religiosità degli incontri, Dio diventa una scusa come un’altra; un interlocutore fantoccio alla mercé di chi ha in realtà deciso di limitare la propria ricerca interiore nei confini dell’esclusivamente e puramente umano.

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Il periodo storico in cui è ambientato Crossroads non entra con prepotenza nella narrazione, ma ne è parte fondamentale. La cultura hippie, il consumo crescente e incontrollato di droghe, il Vietnam, la crisi dell’ordine prestabilito e il dissolversi del valore (e del timore) dell’autorità entrano in casa Hildebrandt come in tantissime case americane e la crisi che colpisce la famiglia dell’Illinois si fa sineddoche di quella attraversata dagli interi Stati Uniti.

Tante voci, nessun giudizio

Personaggi nevrotici, danneggiati, malati, egoisti, privi di empatia. Ma la scelta di Franzen in Crossroads è quella di astenersi da qualsiasi giudizio. Nella narrazione descrittiva, dettagliata e a brevi tratti flemmatica non c’è moralismo né ricerca di quel riscatto a cui le trame più tradizionali portano a sperare. Almeno in questo primo capitolo della trilogia A Key to All Mythologies, ogni protagonista è lasciato alle sue scelte e ai suoi errori.

Se l’autore, dunque, non ci chiede di perdonare i suoi personaggi né organizza per loro un percorso di redenzione, sembra invece tenere molto alla nostra possibilità di comprenderli. Per raggiungere tale scopo, risulta fondamentale – e davvero azzeccata – la scelta di dedicare i singoli capitoli del romanzo ai suoi singoli protagonisti. Tanto sono profonde la distanza e l’incomunicabilità tra gli Hildebrandt, che raccontarli attraverso le loro interazioni avrebbe impedito di coglierne l’interiorità. Così, Franzen spezzetta la narrazione e Crossroads (acquista) diventa l’agglomerato di sei solitarie e personalissime odissee.

Starà ai prossimi capitoli della trilogia A Key to All Mythologies svelare dove si dirigeranno i personaggi, una volta giunti al crocevia tra salvezza e dannazione.

Cristina Sivieri

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Redazione MM

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1 Comment

  1. Sto leggendo ora Crossroads, e lo trovo molto interessante e coinvolgente. Desidero aggiungere un’osservazione alla vostra azzeccata recensione: quando l’autore racconta una per una per una le persone della famiglia lo fa assumendo precisamente la voce del protagonista. E’ credibile quando fa parlare il pastore, quando fa parlare la figlia, il figlio maggiore e la moglie, cambiando lo stile di linguaggio e pensiero in modo stupefacente.

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