Quando si parla di Mary Shelley, due sono le cose che ci vengono in mente: il marito e poeta romantico inglese Percy B. Shelley, di cui ha curato l’opera poetica dopo la sua morte, e Frankenstein, romanzo gotico, horror e in fondo anche fantascientifico che ha influenzato il nostro immaginario collettivo e da cui sono nati personaggi memorabili come Bella Baxter di Povere creature!, romanzo di Alasdair Gray tornato alla ribalta con la recente trasposizione cinematografica di Yorgos Lanthimos.
Pochi, però, si sono addentrati veramente nella figura di Mary Shelley, che non solo è famosa per Frankenstein, ma anche per romanzi come L’ultimo uomo, antesignano del romanzo post-apocalittico, e del semiautobiografico Matilda, in cui traspare il suo rapporto difficile con il padre e intellettuale proto-anarchico William Godwin. Pochi sanno, inoltre, che Mary Shelley fu una donna segnata dal lutto sin dall’infanzia e in perenne conflitto con un senso di maternità che non è mai riuscita a realizzare appieno. Di tutto ciò parla l’argentina Esther Cross in La donna che scrisse Frankenstein, edito La nuova frontiera e autrice nota per i suoi libri di interviste ad autori come Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares.
La trama di «La donna che scrisse Frankenstein»
Essendo un misto fra saggio e racconto biografico, nel parlare di La donna che scrisse Frankenstein non ci si risparmierà nel dare anticipazioni su quello che si narra, poiché parlando della vita di una persona realmente esistita è fuori luogo avere timore nel darne spoiler. Il libro di Cross si apre con la tomba al cimitero di Bournemouth, città costiera dell’Inghilterra, che l’autrice descrive dicendo come al suo interno vi sono parti importanti della vita dell’autrice di Frankenstein:
La tomba di Mary Shelley è molte tombe insieme. Se qualcuno l’aprisse e, con i capelli, le ossa e le ceneri uniti dal sangue ormai invisibile, ricomponesse una figura, non otterrebbe un normale corpo umano, bensì una creatura diversa, una specie di mostro. Ripercorrere il cammino di questo strano corpo è il proposito di queste pagine.
Fra le reliquie che si trovano nella sua tomba vi è il cuore di Percy B. Shelley avvolto in una pagina del poema Adonaïs. Cross parte da queste reliquie per parlarci di Mary Shelley analizzando il suo contesto famigliare, la Londra del suo tempo, le scoperte scientifiche fatte ai tempi fino a eventi importanti della sua vita come la nascita del Frankenstein a Villa Diodati in Svizzera oppure la morte prematura di tre dei suoi quattro figli.
Una wunderkammer biografica
Parlare di Mary Shelley, specie se non ci sono precedenti importanti, risulta difficile. Questa difficoltà si riscontra molto in La donna che scrisse Frankenstein, dove notiamo come Esther Cross sia meno sudamericana del solito. Cosa vuol dire? Se pensiamo ad autori come Juan Rodolfo Wilcock con La sinagoga degli iconoclasti o al fittizio La letteratura nazista in America di Roberto Bolaño, che a partire da materiale più o meno autentico sono riusciti a creare delle vere e proprie biografie romanzate, Esther Cross non riesce tanto a liberarsi delle osservazioni oggettive delle fonti per dare vita propria a Mary Shelley e darle la giusta profondità psicologica, limitandosi, di conseguenza, a raccontare fatti in parte già noti dell’autrice.
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Quello che, però, bisogna riconoscere a Esther Cross è che nel raccontare avvenimenti già noti dell’autrice di Frankenstein usa elementi come oggetti, diari, lettere, la città di Londra e altro per narrarli, offrendo quella che a tutti gli effetti si può definire una wunderkammer biografica, ovvero una vita raccontata attraverso quegli elementi che l’hanno resa tale. In questo modo, Mary Shelley diventa il mostro di Frankenstein la cui vita emerge connettendo fra loro pezzi della sua vita.
Il contesto storico, culturale e famigliare di Mary Shelley
Nata nel 1797 e morta nel 1851, Mary Shelley è vissuta durante il regno della dinastia degli Hannover, nel suo caso specifico da Giorgio III fino alla Regina Vittoria. Questo è un periodo storico importante per l’Inghilterra, un momento in cui comincia ad avviarsi verso le principali innovazioni della modernità e iniziano a manifestarsi le principali rivendicazioni sociali.
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Questi due ultimi aspetti si riscontrano nella vita della stessa Shelley: da un lato Mary Shelley è figlia di due filosofi, William Godwin e Mary Wollstonecraft, che sono considerati pionieri del pensiero anarchico e, nel caso di Wollstonecraft, femminista e agitatori culturali importanti di allora il cui salotto era frequentato da autori romantici come Samuel Taylor Coleridge; dall’altro, invece, abbiamo esperimenti di galvanismo come quelli del professor Giovanni Aldini e i resurrectionists, trafugatori di cadaveri che aiutavano chirurghi come Astley Cooper a trovare corpi da dissezionare e su cui praticare esperimenti.
Mary Shelley è, dunque, figlia del suo tempo. Letterariamente parlando, si tratta di un tempo ossessionato dalla morte e dai fantasmi che si porta dietro gli strascichi dalla poesia sepolcrale di Thomas Gray e Edward Young e dell’esotismo sovrannaturale che anticipa il romanzo gotico con Ann Radcliffe e Horace Walpole, che attraverso il progresso – basti pensare che in questo periodo siamo a Rivoluzione Industriale avviata – prova a vincere la morte per riappropriarsi di ciò che non c’è più:
Mary Shelley fu una figura chiave del mondo che la formò. Rivelò una realtà che la includeva senza riuscire a contenerla e, nel farlo, la definì- Se alcuni scrittori plasmano il contesto in cui vivono, lei crebbe nell’epoca di Frankenstein.
La storia di Mary Shelley è una storia di fantasmi
Se la Londra di Mary Shelley è una Londra che ha paura dei trafugatori di tombe e di vedere cadaveri tornare alla vita, l’autrice di Frankenstein di conseguenza è una persona circondata dalla morte e dai fantasmi. Il primo fantasma con cui si confronta è quello della madre, morta proprio nel momento in cui ha dato alla nascita la figlia:
Dopo la nascita, infatti, la morte era l’unico destino comune. Anche i defunti celebri andavano lasciati in pace. Si poteva sempre far loro visita e riportarli in vita con sessioni di lettura.
Esther Cross racconta di come Mary era solita andare al cimitero di St Pancras alla tomba della madre per leggerle libri, e ciò mette in luce l’importanza che ha avuto la scrittura per lei. La scrittura, infatti, è lo strumento attraverso cui Shelley ha riportato in vita ciò che è morto. Frankenstein, pertanto, non soltanto rispecchia la paura verso ciò che gli uomini possono fare con la morte, ma anche il senso di colpa da parte della sua autrice per ciò che ha lasciato morire e il tentativo di inseguire la morte e domarla.
Nel leggere il romanzo, si può leggere allo stesso tempo la vita della sua autrice: «”la vita, per quanto sia soltanto un cumulo di dolori, mi è cara, e la difenderò”». È attraverso queste parole dette dal mostro che capiamo chi è veramente Mary Shelley: una donna vissuta senza madre, che a causa della morte prematura di alcuni suoi figli ha sempre avuto paura di donare la vita, una donna il cui marito è morto in mare, ma allo stesso tempo una donna che attraverso le sue pagine crea un monumento alle vite che non ci sono più per vincere contro l’oblio del tempo.
Mary Shelley: una vita di morte, una vita dell’immaginazione
La donna che scrisse Frankenstein (acquista) si apre con un esergo tratto da Burning the Dead di Thomas W. Laqueur: «La storia dei morti e della morte è la storia dell’immaginazione». Questa frase ben rispecchia la vita e la scrittura di Mary Shelley: l’autrice come la conosciamo noi oggi è nata perché la morte e il lutto le hanno permesso di immaginare mondi in cui è possibile combattere e dialogare con i fantasmi, ma allo stesso tempo la sua immaginazione ha mostrato come si possa sconfiggere la paura della morte attraverso la parola scritta che, alimentandosi dell’assenza e del lutto, riesce a procreare e a rendere la vita possibile.
Mary Shelley, scrittrice della Londra nera, in realtà della Londra nera fu una delle principali fondatrici. La parte tenebrosa della città la reclamava, le era indispensabile, per quanto strano possa sembrare che una giovane donna, praticamente una ragazzina, volesse scrivere di quel mondo che tanto la terrorizzava. Provava paura, e quella paura decise di raccontarla.
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