«Io sono leggendo»

«Acchiappafantasmi» di Giordano Meacci

14 minuti di lettura

Secondo la Treccani, uno “zibaldone” è sia una vivanda formata da svariati ingredienti che un miscuglio spesso confuso di cose o persone diverse. Lo zibaldone è entrato come termine anche in letteratura per indicare una raccolta spesso non ordinata di idee, abbozzi, schemi e pensieri di un determinato autore. È famoso, per esempio, Lo zibaldone di Giacomo Leopardi, ma anche Alì dagli occhi azzurri di Pier Paolo Pasolini, e sotto certi aspetti anche il Canzoniere di Petrarca, una raccolta di «frammenti di cose volgari» che raccontano la vita interiore del poeta di Arezzo.

Nelle scorse settimane, è tornato in libreria Giordano Meacci, finalista al Premio Strega 2016 con Il cinghiale che uccise Liberty Valance che l’anno scorso abbiamo ritrovato in libreria con la novella Cittadino Cane pubblicata per Industria & Letteratura. Per i tipi di minimum fax, Meacci ha pubblicato Acchiappafantasmi, «un canzoniere in prosa» che raccoglie pezzi già pubblicati o inediti atti a catturare i fantasmi privati dell’autore fra musica, cinema e letteratura.

Di cosa parla «Acchiappafantasmi»

Acchiappafantasmi raccoglie pezzi editi e inediti di Giordano Meacci scritti a cavallo fra il 2006 e il 2022. Vi sono racconti scritti per trasmissioni radiofoniche, contributi realizzati per fiere come Book Pride e il Salone del Libro di Torino, ma anche ricordi di famiglia e riflessioni sulla lingua italiana, sulla letteratura, sulla musica e sul cinema. L’autore si muove fra gli autori e le personalità più disparate del cinema italiano, che fanno da costellazione della sua idea di arte: dal linguista Luca Serianni a Vincenzo Cerami passando per Bob Dylan, Federico Fellini, Paolo Conte e Giordano Bruno.

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In questo compendio di pensieri e parole, l’autore ci racconta come vita e letteratura siano strettamente intrecciate tra loro, «perché la Letteratura reindirizza ogni vita nella vita di ognuno attraverso la fatica della forma. Una forma che ogni volta battezza e riscrive l’universo che nasce con lei». Gli spettri della letteratura vivono in noi e ci aiutano a muoverci nella vita di tutti i giorni, a dare forma alle nostre vite di carta e a renderle immortali col passare del tempo.

«Acchiappafantasmi»: un azzardo autobiosaggistico

Fin dall’inizio, Giordano Meacci spiega l’intento di Acchiappafantasmi: quello di creare un «azzardo autobiosaggistico». L’autore romano intende, infatti, raccontare se stesso attraverso una concatenazione di digressioni di stampo saggistico e biografico, ma anche attraverso racconti di pura fiction.

Questi elementi non sono riordinati in maniera cronologica, ma in maniera digressiva: ogni racconto e analisi saggistica, infatti, sono collegati agli altri attraverso elementi comuni che creano una specie di struttura ad anello che rimandano sempre allo stesso tema, ovvero la letteratura e la sua compenetrazione nella vita dell’autore.

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Questa concatenazione di digressioni ha luogo nel momento in cui Meacci legge e rilegge tutti i suoi punti di riferimento artistici e culturali in questo «canzoniere in prosa» cercando di fare ordine fra i suoi pensieri e quello che ha scritto in anni di carriera come sceneggiatore e scrittore. Dopotutto, come dichiara lo stesso autore, «io sono leggendo», dove leggere è inteso anche nel suo significato primitivo di “raccogliere”. Meacci raccoglie vite, pensieri e parole per raccontare se stesso, la sua arte e quella degli altri:

L’arte è aggiunta; non può essere sostituzione. Lo stesso motivo per cui non esiste la sinonimìa (e, del resto, anche l’omonimia è in partenza un fraintendimento burocratico) e ogni parola si porta un universo con sé. Dire di un artista (apostrofo o no) che «è simile» a un altro artista, se detto inconsapevolmente, significa accettare (senza capirlo) una qualche triste, ripetibile (quindi anche noiosa) fine estetica. Del resto: la memoria stessa, quando comincia a sostituire ricordo con ricordo trasformandoli in un unico pastone senza scelta: cede verso la morte.

Giordano Meacci attraverso il cinema

Fare ordine in Acchiappafantasmi risulta difficile, e per farlo ci si concentrerà su due delle più grandi passioni di Giordano Meacci: il cinema e la letteratura. Per l’autore, le due cose sono strettamente intrecciate, al punto che l’una trasmigra nell’altra dando un senso di continuità alla bellezza e alla vita. Esempio lampante di ciò è lo scrittore e sceneggiatore Vincenzo Cerami, stella polare dell’autore romano:

Nel dire che la metempsicosi è la ‘trasmigrazione delle anime’; e precisare che in un modo laico, e stordito, e fragile, e decisamente umano, tutte le anime delle scritture di Vincenzo Cerami sono trasmigrate in un modo o nell’altro – ché è sempre questione di stile – nella letteratura italiana di questi anni; in tutte e tutti quelli che da lui hanno imparato una concezione e un metodo nuovi in grado di contrastare il dèmone ghiaccio e rumoroso della pagina bianca.

L’intreccio fra cinema e letteratura trova conferma in uno degli eserghi usati da Meacci nel corso del testo preso da Claudio Caligari, grande maestro di Meacci per il quale quest’ultimo ha collaborato assieme a Francesca Serafini come sceneggiatore: «il cinema è finzione». Come la letteratura, anche il cinema ci aiuta a «vincere il tempo» e a «raccontarsi i sogni futuri che non potremo sognare da soli».

Un altro esempio che Meacci ci fornisce in questo senso è Ettore Scola. Le battute e le frasi dei film di quest’ultimo non solo sono entrati nel parlare comune e nel lessico famigliare di Meacci, ma hanno costituito una specie di grammatica universale che sottende a ogni film e opera letteraria che permette di propagare la bellezza dell’arte e la vita nel tempo e di rinnovarla in ogni forma sempre diversa.

Meacci e la letteratura: la figura di Giordano Bruno

Nel parlare dei film di Scola, Meacci fa riferimento ai termini del linguista svizzero Ferdinand de Saussure langue e parole: il primo, definito da Meacci hardware, è l’universo di riferimenti artistici e letterari, mentre il secondo, definito, invece, software, è il modo in cui si propaga questo insieme di riferimenti. Per l’autore, queste frasi servono a propagare un certo universo culturale nel tempo, poiché «prolungano nella vita reale la loro forma di partenza in altra forma; un’appropriazione più o meno debita che le continua nella lingua quotidiana».

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C’è una figura a cui Meacci sembra far ricondurre questa sete di infinito, questo incedere digressivo nel tempo e nello spazio della letteratura e del cinema, una personalità che con l’autore romano condivide il nome e che costituisce, dunque, l’hardware da cui tutto muove: il filosofo nolano Giordano Bruno, la cui prosa secondo l’autore romano è un propagarsi di «un infinito catalogo i cui segni si trovano attraverso l’ombra precaria e fragile delle parole che l’infinito rispecchiano», «una perenne conquista ribaltata» dove le parole «vengono rivestite di nuovi significati anche se identiche nella struttura significante».

Giordano Bruno fa venire in mente a Meacci, ad esempio, la scena del Postino in cui Massimo Troisi, nel ruolo di Mario, chiede a Pablo Neruda di spiegargli «questi infiniti mondi», mentre la sua condanna al rogo gli fa ricordare l’assassinio di Pier Paolo Pasolini e la fatwa di Salman Rushdie, e infine il suo stile polifonico e digressivo si riverbera «nel gesto» in James Joyce e Carlo Emilio Gadda.

Infiniti gesti da salvare

Giordano Bruno risveglia le associazioni che Meacci fa fra Troisi, Gadda ed Ettore Scola, ribadendo da un lato la struttura ad anello di cui abbiamo accennato e dall’altro quanto l’arte sia per Meacci un grande contenitore in cui tutto si rintraccia e richiama ad altro:

E però. Se è vero – come è vero – che le lingue sono come gli esseri umani che le parlano; se è vero che vivono un’esistenza storica, e limitata, e cangiante, come gli esseri umani: tutt’insieme sottoposti alle leggi implacabili del tempo e dell’entropia: allora non c’è solo un catalogo di storie legato alla langue delle strutture corali, dei popoli e delle comunità. C’è, anche, una somma fluttuante e particolare di infiniti gesti di parole che andrebbero salvati. I guizzi finali, le illuminazioni geniali o le intuizioni recintate e irripetibili che coincidono con la fine parlata di una vita.

È in questo senso che va interpretato l’«io sono leggendo» di Meacci. L’autore legge e scrive richiamando alla memoria altri riferimenti culturali prima di lui per salvarli dalla legge del tempo e della morte. Lo scrittore – e come lui altri – innesta riferimenti in riferimenti per salvare una cultura, una comunità: per salvare delle vite, soprattutto la propria. Fare Letteratura, cinema e arte non vuol dire altro che vincere la morte e il passare del tempo.

«Acchiappafantasmi»: noi siamo ciò che leggiamo

Parafrasando il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, Acchiappafantasmi (acquista) di Giordano Meacci ci insegna che «noi siamo ciò che leggiamo». Nel nostro modo di vivere e di fare arte, ogni nostro gesto rimanda ad altro che è arrivato prima di noi: rimanda a idee, frasi e parole che rimodellano quanto è esistito prima per dargli vita nuova.

Per dirla à la Jung, la letteratura è una grande anima mundi e i nostri gesti sono archetipi che riproducono le stesse idee che si propagano all’infinito. Noi siamo la letteratura, e la letteratura è noi: viviamo perché leggiamo e ripetiamo ciò che è venuto prima di noi, lo ricreiamo all’infinito per vincere la morte e permettere vita duratura a ciò che ci ha resi quello che siamo diventati.

Parlare di Letteratura significa farla; altrimenti è meglio ri­nunciare. E scriverne talvolta comporta il rischio di distruggerla: se non si è aiutati dalla grazia laica, sottile, preterintenzionale e fragilis­sima di un qualche rigore diagonale e pervasivo. […] Io (lo spettro di ogni Letteratura, tentata o riuscita che sia) ho cer­cato di muovermi raccogliendo i racconti in questa forma di canzo­niere narrativo; o romanzo diffratto per racconti. Una struttura in cui il segno dell’opera nel pieno dafàrsi s’intrec­ci con il luogo accogliente di ogni racconto: in sintassi con gli altri e con il futuro largo del libro; trasformando in scrittura l’incanto mera­vigliato degli anni. Perché la Letteratura reindirizza ogni vita nella vita di ognuno at­traverso la fatica della forma. Una forma che ogni volta battezza e riscrive l’universo che nasce con lei.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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