Più di 500 ospiti per i 209 appuntamenti. Oltre 13mila spettatori, nonostante la pioggia. Dal 21 al 23 marzo si è tenuto come ogni anno negli spazi del Superstudio Maxi Book Pride, fiera dedicata all’editoria indipendente che da quest’anno gode anche del supporto del Salone del Libro di Torino.
Con la curatela editoriale di Marco Amerighi e Laura Pezzino, e con il coordinamento di
Francesca Mancini, il tema scelto per questa edizione è Danzare sull’orlo del mondo, ispirato alla
scrittrice americana Ursula K. Le Guin, e riflette sul potere della letteratura come atto di resistenza e
trasformazione. Oltre a incontri dedicati al mondo dell’editoria e della letteratura, se ne sono tenuti anche dedicati all’attualità e alla musica.
Noi di Magma Magazine abbiamo preso parte per voi a vari eventi, e nel seguente articolo vi racconteremo quelli che ci sono piaciuti di più.
Prima di cominciare, però, menzione speciale per le due mostre di illustrazioni, entrambe a cura di Ale Martoz: Mind The Gap, dove dodici illustratrici hanno raccontato le donne stem (in collaborazione con Illustri Festival), e Nella complessità, dove sei fumetti e sei illustrazioni hanno celebrato l’unione tra «Fumetti» e «Finzioni» – i due inserti del quotidiano Domani, nati separatamente nel 2021 e nel 2022, poi diventati un’unica pubblicazione – per riflettere sui temi del nostro tempo.
La poesia come motore del mondo
La Giornata Mondiale della Poesia, celebrata il 21 marzo, è stata la cornice dove sono state annunciate le dodici opere scelte dal Comitato scientifico del Premio Strega Poesia, che accedono dunque alla selezione della cinquina finalista. Ad annunciare a Book Pride le dodici opere sono stati alcuni componenti del Comitato: Andrea Cortellessa, Vivian Lamarque, Stefano Petrocchi e Laura Pugno.
Questa la dozzina:
- Prisca Agustoni, L’animale estremo, Interno Poesia Editore.
- Elisa Biagini, L’intravisto, Einaudi.
- Marco Corsi, Nel dopo, Guanda.
- Maurizio Cucchi, La scatola onirica, Mondadori.
- Claudio Damiani, Rinascita, Fazi.
- Roberto Deidier, Quest’anno il lupo fissa negli occhi l’uomo, Molesini.
- Alfonso Guida, Diario di un autodidatta, Guanda.
- Antonio Francesco Perozzi, on land, Prufrock.
- Giancarlo Pontiggia, La materia del contendere, Garzanti.
- Jonida Prifti, Sorelle di confine, Marco Saya.
- Marilena Renda, Cinema Persefone, Arcipelago Itaca.
- Tiziano Rossi, Il brusìo, Einaudi.
«Nella dozzina di quest’anno» ha aggiunto Laura Pugno, «si possono identificare una serie di temi forti, tra questi il rapporto forte con la letterarietà e una nuova sensibilità nei confronti del paesaggio. È una poesia che non rinuncia a giocare la sua partita e che si mostra consapevole delle questioni che agitano il nostro tempo, lette sempre attraverso lo specifico del mezzo poetico. Una poesia che dialoga con altre lingue e altri mondi, sia perché ne viene vivificata dall’interno, sia perché il processo di scrittura si svolge in un altrove linguistico o geografico rispetto a qualsiasi centro sia percepito come tale.»
Non resta che aspettare il prossimo 7 maggio al MAXXI L’Aquila per scoprire gli autori candidati alla cinquina finalista.
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Una passeggiata letteraria tra gli stand di Book Pride
Tra le iniziative più particolari di questa edizione di Book Pride c’è senz’altro la passeggiata letteraria organizzata in collaborazione con YesMilano per promuovere LET-MI, una piattaforma digitale open source che mette a disposizione percorsi interattivi per scoprire gli scrittori che hanno fatto grande Milano. D’altronde, come ha ricordato la giornalista Mariangela Traficante che ha guidato la passeggiata, al momento attuale il capoluogo lombardo è l’unica città italiana insignita del titolo di Città creativa UNESCO per la letteratura.
L’evento – dal sapore insolito, se si considera che di regola gli incontri di Book Pride non sono itineranti, ma si tengono in sale per conferenze – ha toccato gli stand di diverse case editrici in qualche modo legate alla città di Milano. Alcune meneghine doc, come Meravigli, Adelphi e l’antichissima Baldini+Castoldi (fondata nel lontano 1897), altre nate in regioni del Sud ma legate a Milano grazie alle loro pubblicazioni. Due esempi su tutti, la palermitana Sellerio e la salentina Manni: la prima ha a catalogo opere di autori che hanno ambientato i loro gialli a Milano, come Giorgio Fontana e Alessandro Robecchi, mentre alla seconda si deve la pubblicazione delle opere di un vero simbolo della letteratura milanese: la “poetessa dei Navigli” Alda Merini.
L’incontro, intervallato dalla lettura di alcuni passi di opere significative, è stato un’ottima occasione per scoprire curiosità e retroscena sulle case editrici coinvolte e, più in generale, sugli autori che hanno dimostrato il loro amore per Milano con i libri… e non solo. Emblematico è il caso del francese Stendhal – al secolo Henry Beyle –, sepolto a Parigi ma talmente innamorato di Milano da volere sulla tomba questo epitaffio (in italiano!): «Arrigo Beyle, milanese: visse, amò, scrisse».
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«Io sono l’uomo con due facce»: a Book Pride, un dialogo con Viet Thanh Nguyen
Uno degli ospiti più attesi di quest’anno a Book Pride è stato lo scrittore vietnamita naturalizzato americano Viet Thanh Nguyen, Premio Pulitzer nel 2016 per Il simpatizzante, che assieme alla giornalista Nadeesha Uyangoda ha dialogato sul suo nuovo libro Io sono l’uomo con due facce (acquista), sempre edito da noi in Italia presso Neri Pozza.
La conversazione inizia con il tema del confine, non solo da intendersi in senso geografico, ma anche in senso letterario. Nguyen ha scritto questo nuovo libro attraverso una miscellanea di generi per riflettere sul significato di scrivere da rifugiato, cioè scrivere non solo dopo aver superato dei confini fisici, ma anche dopo aver superato i confini fra i generi letterari. Questo gioco con i generi letterari è già avvenuto in Il simpatizzante, dove alla fine Viet Thanh Nguyen si immagina spia di se stesso per conoscere se stesso attraverso una scrittura che in primo luogo è un apprendistato al gioco.
Attraverso parallelismi con autori come Salman Rushdie, Nguyen ci ha raccontato come la memoria sia piena di buchi che devono essere rattoppati attraverso la finzione, tematizzando così la dimenticanza, che è parte integrante della memoria. Scrivere di memorie per l’autore Premio Pulitzer significa confrontarsi con l’autenticità di una storia, e dunque arrivare a tradire un segreto considerato doloroso per la propria famiglia. Il problema, però, sta proprio nell’autenticità, in quanto a uno scrittore appartenente a una minoranza è richiesto non solo di parlare di un specifico trauma, ma anche di tradurre il proprio vissuto agli altri.
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Viet Thanh Nguyen, però, ha continuato dicendo di rifiutarsi di parlare di quello che gli altri pretendono da scrittori come lui. Uno scrittore di una minoranza, per essere tale, deve prima di tutto scrivere per sé stesso e per la sua comunità di riferimento, perché è solo così che può parlare una voce autentica. Alla fine, se da un lato c’è l’ambizione a essere un Grande Scrittore Americano, dall’altro c’è la consapevolezza che questo concetto sia mera espressione di vanità: tanto vale, dunque, parlare del proprio vissuto senza farsi assimilare e mirare a essere un Non-Così-Grande Scrittore Americano.
«Voglio vederti danzare»: omaggio a Battiato nella città dove non si vede l’orizzonte
Non solo libri tra le parole di Book Pride, ma anche tanta, tanta musica: nella mattinata di domenica 23 marzo la giornalista e critica musicale Giulia Cavaliere ha dialogato con il cantautore Antonio Dimartino per rendere omaggio a Franco Battiato in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua nascita.
Come distillare in una sola ora di incontro un gigante della musica come Battiato? Partendo da uno dei suoi album, una scelta forse poco convenzionale rispetto ai suoi dischi più celebri: Orizzonti Perduti. Scritto a valle del successo della Voce del padrone, primo album italiano ad aver oltrepassato il milione di copie vendute, nonché del trasferimento a Milano dell’artista, Orizzonti perduti è un’opera intima e malinconica, sospesa tra il presente di una città che corre e disorienta e il ricordo di una Sicilia arcaica e primordiale.
Il rapporto di Battiato con la terra natia ha tanti nomi: “sicilitudine”, per dirla con Leonardo Sciascia, saudade isolana, oppure, per usare le sue stesse parole, un Mal d’Africa universale che cristallizza mitologie familiari e luoghi dai contorni metafisici in un passato tanto nostalgico quanto impossibile da restituire. Il rovescio di questa medaglia è Milano, città senza orizzonte, città che sale e trascina tutti nel suo ritmo irrefrenabile, a cui è impossibile rinunciare ma che instilla sensi di colpa per ogni istante di pausa dalla frenesia.
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Sull’onda di un’elegante quanto spietata critica sociale, Battiato utilizza il proprio status di cantautore sulla cresta dell’onda per sferrare attacchi all’industria musicale e dell’intrattenimento con La musica è stanca: un brano che, citazione ai Telegatti a parte, sembra parlare anche della scena musicale di oggi e non sfigurerebbe tra la produzione cantautoriale dello stesso Dimartino.
Quale lezione possiamo allora apprendere dalla musica di Battiato, un artista colto e raffinato che ha saputo, nel corso di una lunga e produttiva carriera, mettersi costantemente in discussione e aprirsi a nuovi spunti e stimoli? Dare spazio e valore alla complessità, lasciare nelle opere un substrato di non detto, di astratto, che spinge il fruitore a voler conoscere, interpretare e pertanto riascoltare, rivedere, rileggere.
Cantiere Esordi e il magma da cui nascono le storie
Ogni romanzo nasce da un’inconsapevolezza, ovvero un tema che non comprendiamo a cui si sente il bisogno di dare spazio e riflessione. Questo vale per i lettori, ma soprattutto per gli scrittori. E quando si è al primo romanzo l’inconsapevolezza è maggiore: un autore non sa fino a che punto sarà in grado di arrivare, non sa padroneggiare una storia che dunque sceglierà da sé la strada da percorrere. È un momento di estrema libertà, ed è per questo che conoscere nuovi autori è fondamentale per comprendere la scintilla da cui è nato un libro. Per questa ragione, sono stati per noi imperdibili i due appuntamenti di Cantiere Esordi, dedicati appunto alle penne emergenti di cui, nell’ultimo periodo, abbiamo molto sentito parlare.
Lo stesso Marco Amerighi – uno dei curatori di Book Pride – durante l’inaugurazione del primo incontro, svoltosi sabato 22 marzo in sala Bogotà, ha voluto riconoscere l’importanza di questi incontri lanciati tre anni fa, che permettono alle voci emergenti più interessanti della nuova narrativa di confrontarsi tra loro e con i lettori: «Cantiere Esordi è una possibilità di costruire una comunità perché possano continuare a confrontarsi».
Gli autori incontranti sono stati Chiara Fiorentini (autrice del romanzo L’anno che ti ho detto addio, edito da 66thand2nd – acquista), Matteo Quaglia (autore del romanzo Volevamo magia, edito da Nottetempo – acquista) e Paulina Spiechowicz (Mentre tutto brucia, edito da Nutrimenti – acquista). Moderati da Annarita Briganti, giornalista e scrittrice, si sono confrontati su diversi temi come l’autobiografia, l’ossessione nei romanzi, la lingua e le scelte stilistiche. Ciò che emerge è un lavoro di fino che non trascura il minimo dettaglio.
«Nel mio romanzo tutto è vero, ma nulla lo è. Ci sono dei luoghi che ho vissuto in modo intimo e personale, questo sì, ma la terza persona mi ha aiutata a raccontare questa storia in modo crudele, duro» spiega Paulina Spiechowicz. Non manca il richiamo ad altri romanzi e autori che, come una guida, spingono uno scrittore emergente alla ricerca di un proprio stile: «Ho sempre avuto il difetto di affezionarmi talmente tanto a un autore da volerlo replicare, anche se è impossibile. Conservi qualcosa di quell’autore ma torni al tuo stile con qualche consapevolezza in più». Alla fine la scrittura diventa una finestra per osservare da lontano le relazioni che costruiamo: «Il mio romanzo non è tratto da una storia vera, ma nella scrittura c’è una parte di te che viene fuori. Avevo bisogno di scrivere di una perdita. Le relazioni che costruiamo (in ogni declinazione) non sono un contratto, vanno ricostruite ogni giorno», lo stesso vale per a scrittura, un lavoro che richiede esercizio quotidiano e una buona dose di volontà di mettersi a nudo di fronte al giudizio.
Domenica 23 marzo, invece, abbiamo incontrato Michele Bitossi (autore del romanzo Ma io quasi quasi, edito da Accento – acquista), Marta Lamalfa (autrice del romanzo L’isola dove volano le femmine, edito da Neri Pozza – acquista) e Riccardo Meozzi (autore del romanzo Addio, bella crudeltà, edito da Edizioni E/O – acquista), moderati dall’autore e giornalista Mattia Insolia. Sarà forse la capacità di Insolia di arrivare al cuore delle storie, in questo secondo appuntamento a fare da protagonista è il magma «che per tanto tempo ha aspettato di fuoriuscire» e diventare materia. Ma qual è la scintilla da cui nasce una storia?
Il primo a prendere la parola è Michele Bitossi: «Di esordi, nella mia vita, ne ho fatti un po’». Prima in una band, poi da solista, poi come autore di canzoni e adesso come scrittore. Nel suo caso la “scintilla” è adesso l’incipit. «Questo romanzo è nato dopo una crisi importante dal punto di vista creativo, dopo una delusione musicale». Bitossi si descrive come un autore-spettatore della vita: ascolta le conversazioni degli altri, s’intrufola senza farsi notare. Ma io quasi quasi, come l’autore spiega nei Ringraziamenti finali, nasce infatti da una conversazione ascoltata sul treno. E poi da un’affermazione: «Nelle separazioni diamo il peggio di noi». Sono pochi i romanzi che parlano di separazioni dal punto di vista maschile, è per questo che l’autore ha scelto di scrivere di Riccardo.
Per Marta Lamalfa quell’immagine si trova più o meno nel finale e riflette quella che è la copertina del libro: «Una ragazza in volo, un po’ stregonesca, verso la libertà. Il suo volo rappresenta la realizzazione di un percorso». Per Riccardo Meozzi, invece, è stata la scena di un litigio. Il suo romanzo parla di un amore giovanile in cui c’è uno squilibrio di potere nella coppia ma, nel momento in cui il maschio dominante si troverà a fare i conti con la malattia, i ruoli si ribalteranno ed entrerà in gioco l’incognita della crudeltà. Una volta concluso il romanzo, però, cosa prova un autore? Riconoscenza per i lettori, desiderio di trasferire vita e realtà, ma soprattutto esasperazione. «Sei sempre l’autore ma adesso la storia va con le sue gambe, non la puoi più cambiare. È come un figlio che non puoi rieducare» confessa Meozzi.
Uno dei motivi per cui siamo estremamente grati è la possibilità che Cantiere Esordi ci ha dato di andare oltre le storie e scoprire qual è il motore che le alimenta. Difficile trovare qualcosa in comune tra questi autori, ma è proprio la varietà a lasciarci ottimisti.
«… Anzi parliamo»
A chiudere il percorso tematico dei tre giorni di Book Pride è stato il reading dedicato alla scrittrice Carla Lonzi, simbolo del femminismo in Italia le cui opere (i “libretti verdi”) sono state ripubblicate dalla Tartaruga, storica casa editrice che quest’anno compie 60 anni. Claudia Durastanti, curatrice editoriale della Tartaruga, insieme a Chiara Alessi, Annalena Benini, Giulia Cavaliere, Gaia Manzini, Silvia Pelizzari, Sara Poma, Micol Sarfatti e Giorgia Serughetti, ha deciso di dare voce ad alcune pagine di Taci, anzi parla – il diario che tenne dal 1972 al 1977.
Un giorno Sara mi aveva detto nel gruppo: «Quello che non si capisce è da dove ti viene tanta sicurezza». Nemmeno io lo capivo, e il fatto che proseguissi senza cercare fino in fondo l’origine di questo, mi teneva sospesa.
Un incontro a più voci durante il quale la parola è diventata ancora una volta opposizione, ostacolo contro i movimenti estremisti. Un diario che da “memoria privata” diventa “memoria letteraria” per ispirare chi, come Carla Lonzi, considera l’esperienza personale e politica inscindibile da ogni esistenza.
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