È uscito lo scorso luglio, per i tipi di Giulio Perrone Editore, Tutte le giostre che ho chiamato casa, il romanzo d’esordio di Michela La Grotteria, vincitrice nel 2023 del Premio Walter Mauro per la narrativa inedita. Non è la prima volta che la casa editrice romana pubblica l’opera prima di un giovane autore: tra i casi più di spicco degli ultimi anni ricordiamo, per esempio, La sostanza instabile di Giulia Lombezzi, vincitrice del XXIII Premio Edoardo Kihlgren Opera Prima, e Prima che chiudiate gli occhi di Morena Pedriali Errani, proposto da Maria Ida Gaeta per il Premio Strega 2024.
Oltre a essere una giovane scrittrice, però, Michela La Grotteria è da diversi anni anche una delle penne di Magma Magazine. E siamo orgogliosi di annunciare una novità: abbiamo deciso di partire da Tutte le giostre che ho chiamato casa per inaugurare una nuova rubrica, Scrittori magmatici, dedicata ai libri scritti dai nostri collaboratori. Una bella occasione per i lettori di conoscere diversi nostri redattori da una prospettiva tutta nuova.
La trama di «Tutte le giostre che ho chiamato casa»
Protagonista di Tutte le giostre che ho chiamato casa è Nadia, una ragazza che per motivi di studio si trova a Parigi. Non è la prima volta che stipa le sue cose in una valigia e parte alla volta di una città nuova: nella sua vita ci sono state anche Milano e un’altra città che la giovane non vuole nominare, perché legata a un momento buio della sua esistenza.
Tra tutte, però, la Ville Lumière rappresenta per lei un importante punto di svolta: poiché Nadia è quasi giunta al termine del suo percorso di studi, Parigi sembra simboleggiare l’ultima peregrinazione della sua vita, prima di stabilirsi da qualche parte in via definitiva. Non è tuttavia l’unico motivo che rende la capitale francese così importante agli occhi di Nadia: è proprio qui che conosce Annette, un’eccentrica ragazza con cui si ritrova a condividere la stanza e che le offrirà uno sguardo nuovo sulla sua vita.
Cambiare tutto per desiderio di non cambiare nulla
C’è una celeberrima frase del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che recita che «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»; il contesto in cui viene pronunciata, quello della Sicilia risorgimentale, è totalmente diverso da quello del libro di Michela La Grotteria ma, scoprendo le vicissitudini della vita di Nadia, per un istante torna in mente proprio questo adagio. Il motivo si trova in una grande contraddizione che la caratterizza: mentre, quando si tratta di città, Nadia non si fa problemi a partire e ricominciare da zero a migliaia di chilometri di distanza, lo stesso non si può certo dire sul versante dei rapporti umani. Scopriamo infatti che da anni ha con un ragazzo, Edoardo, una relazione in cui non ha mai davvero creduto, ma che al tempo stesso non riesce davvero a troncare.
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Tanti di noi hanno studiato da fuorisede in una città (o in certi casi in una nazione) diversa. La sensazione è sempre un po’ quella che Nadia sperimenta nel corso dei suoi vari spostamenti: essere nella meravigliosa dimensione del possibile, in cui nulla è definitivo e tutto è ancora in divenire. E se ci fosse un fil rouge tra il comportamento di Nadia nei confronti delle città e delle persone? Piuttosto che troncare con Edoardo, preferisce trascinare una storia stagnante per timore di essere costretta a mettere un punto fermo nella sua vita, è indubbio. Ma, al tempo stesso, anche cambiare di continuo città, senza mai veramente mettere radici da nessuna parte, è un’altra espressione della stessa paura di fondo.
Una paura che, a ben vedere, non è solo di Nadia, ma generazionale. A scuola o all’università seguiamo un percorso molto ben scandito, e che proprio per questo ha in fondo un che di rassicurante. Ma, prima o poi, gli studi giungono a una fine. Ed è lì che si apre un vero e proprio mare aperto che, è inutile girarci intorno, fa paura. Tanta. Non ci stupiscono allora i continui giri di giostra di Nadia, nel tentativo di rimandare il più possibile il tuffo – inevitabile – in questo mare.
La casa sognata
Nonostante tutte le sue paure, Nadia inizia a sentire il bisogno di avere un posto da chiamare “casa”; all’improvviso, le giostre – per definizione, effimere – che danno il titolo al romanzo non bastano più. Pian piano, la giovane prende consapevolezza che a lungo andare sarà lei la sola vittima della sua assenza di radici.
E fa male pensare che la vita scorre nelle città che lascio anche dopo la mia partenza, scorre intatta e solo un pugno di persone sa che sono in stazione sul treno di ritorno e che piangerò sul treno, e si ricorderanno di me per qualche tempo, qualche buon compleanno ma poi che ci vuoi fare, è la vita, le cose passano.
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“Casa” è ben più di un luogo fisico; è dove le preoccupazioni, se proprio non possono scomparire, vengono perlomeno messe in pausa. Nadia, però, si porta dentro un’inquietudine che l’ha seguita a ogni nuova partenza: il lutto mai davvero elaborato per la morte improvvisa di un’amica, Nora, poco dopo la fine del liceo. In un passaggio del libro, la protagonista parla della ricerca di una sorta di serenità, dicendosi consapevole di aver perso il suo vero baricentro diversi anni prima. Ed è qui che il malessere più generazionale di Nadia – che trova la sua massima espressione in un bel passaggio sull’ansia di essere già in ritardo, a 23 anni, su una non ben precisata tabella di marcia – incrocia il suo dolore privato, impossibile da cancellare e che forse l’ha sul serio sbilanciata in modo irrevocabile. Eppure, a Parigi Nadia intuisce che da qualche parte può esistere anche per lei un luogo dove sentirsi serena e al sicuro.
«Tutte le giostre che ho chiamato casa»: uno stile frammentato
In Tutte le giostre che ho chiamato casa Michela La Grotteria richiama la grande frammentarietà della vita di Nadia con uno stile che lo è altrettanto. I capitoli, che in diversi casi accostano senza soluzione di continuità passaggi in terza persona e altri in prima, sembrano istantanee – quasi slegate tra loro – delle vicende della protagonista. La sua ansia, inoltre, trova una trasposizione grafica nei numerosi passaggi scritti a flusso di coscienza, in cui la punteggiatura ridotta all’osso suggerisce ai lettori l’accumulo soffocante dei pensieri di Nadia: senz’altro una scelta audace da parte dell’autrice, considerato che a tratti può rischiare di disorientare i lettori più legati a forme stilistiche tradizionali.
Consigliato a…
Ansia di fallire, di non essere una persona gentile, di essere troppo gentile e farsi calpestare, […] ansia di aver sbagliato percorso di studi, ansia di non trovare il lavoro dei sogni e ansia di trovarlo prima di aver fatto tutte le esperienze che si fanno a vent’anni e poi basta. Ansia di non aver vissuto la vita appieno, e ansia che non la porti a nulla essere stata una ragazza studiosa comme il faut.
Suggeriamo la lettura di Tutte le giostre che ho chiamato casa (acquista) a chi si riconosce anche in una sola delle parole riportate sopra e, pur temendo passi falsi e false partenze e percependo il futuro come una grande e inquietante nebulosa, continua con ostinazione a cercare un luogo che possa finalmente sentire come proprio.
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