Uno specchio della fragile esistenza contemporanea

«L'avventura terrestre» di Mauro Covacich

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Nella narrativa contemporanea, italiana o europea, trova molto spazio la riflessione su diversi temi profondi. C’è da dire, però, che si può scadere facilmente nella ripetizione di determinati cliché e, al tempo stesso, rifilare al lettore intenti moralistici già sentiti. Questo non avviene nell’ultimo romanzo di Mauro Covacich, L’avventura terrestre (La Nave Di Teseo), che presenta una interessante ricerca sulla delicata fragilità umana di fronte alla malattia che conduce un corpo e una mente a subire una metamorfosi, un cambiamento di stato non indifferente. In quest’opera l’autore porta il suo personaggio a riflettere su sé stesso, in una discesa che sembra una incessante catabasi per comprendere e accettare il proprio destino.

«L’avventura terrestre»: la trama

L’avventura terrestre parla di uno scrittore sulla cinquantina che soffre di acufene, un disturbo dell’udito che altera notevolmente la percezione dei suoni, provocando un rumore assordante. Il suo medico ipotizza che sia dovuto a una neoformazione celebrale, ed è proprio questa probabilità che getta il protagonista nello sconforto, portandolo a una condizione mentale profondamente spaesante. Si trova infatti costretto a fare i conti con precisi attimi vissuti durante la sua vita, rievocando continuamente determinati fantasmi del passato che rivendicano il loro diritto all’esistenza in prossimità della fine, in un continuo scambio di rimandi e allusioni a scelte che il protagonista poteva fare, in modo tale da vivere diversamente.

Sono presenti diversi personaggi che vengono evocati con dei pronomi o che afferiscono a dei ruoli (la madre, la prima moglie, il suocero, eccetera) ben precisi. In questo modo, la storia non è soltanto singolare, ma si afferma con un carattere universale poiché tutti, di fronte alla morte, veniamo ricondotti al principio.

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Il corpo che vuol essere inviolabile

Nella pungente e precisa riflessione che lo scrittore fa sulla propria esistenza, scopre il significato del corpo. Un corpo dal quale nessuno, naturalmente, vuol essere estromesso, anche quando subisce un deterioramento come un dipinto. Esso, per la sua natura di immortalità e bellezza eterna, auspica a essere nella vita di tutti noi, una proprietà inviolabile (ma illusoria) del nostro senso estetico, quasi a marcare un narcisistico desiderio di voler mantenerlo come tale. Tuttavia, la divergenza tra materia e pensiero permette al protagonista (chiamato “lui” dall’autore) di diventare l’agente, un individuo che prova a condurre serenamente una routine collaudata nei tre giorni che lo separano dal così detto giudizio finale, mentre l’osservatore, colui che invece pone distanza al corpo, ne riporta la cronaca beffarda.

La morte come destino inevitabile, ma legittimo

Dove sta la morte allora, dentro o fuori di lui?

Giunti a un certo punto dell’esistenza, bisogna fare i conti con la morte. Lungo il romanzo Covacich non smette di ricordarlo, facendo in modo che sia il vero leitmotiv di tutta la storia. La tematica, che appare decisamente esistenzialista, assume un concetto quasi heideggeriano, quello di “essere-per-la-morte” senza voler risultare ridondante o addirittura brutale.

Tutto ciò si allinea con la poetica dell’autore molto vicina alla finitezza umana (già affrontata nel precedente romanzo Di chi è questo cuore, uscito nel 2019 per La Nave di Teseo) che viene trattata con una scrittura curata nei minimi dettagli. All’apparenza sembra che voglia allontanare il lettore portandolo a dei vuoti narrativi. L’impianto narrativo de L’avventura terrestre (acquista) è in realtà stato costruito in modo tale da dimostrare l’idea per cui la vita assume un significato ben preciso quanto più giunge al suo termine ultimo.

Ciò che forse separa la linea tra la vita e la morte, è il tempo. In questo incessante scorrere dettato da paure, impulsi, frammenti di vita passata rievocati e brevi attimi di felicità, continua a compiersi l’avventura terrestre di ogni uomo che come la grande legge dell’esistenza recita, è solo di passaggio. Basterebbe solo accettare ciò che si raccoglie, risolvendo così ogni conflitto.

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Federico Ferrara

Classe 2000. Originario di Milazzo e laureato in DAMS a Messina, sto proseguendo con la specialistica in Scienze dello spettacolo. Appassionato di cinema, fotografia e letteratura, ma ho anche una vita sociale.

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