Cara Catastrofe, tutto questo non mi sta bene

«Il male che non c'è» di Giulia Caminito

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Il male che non c'è

Si definisce ipocondria quello stato psicologico che provoca ansia senza una reale motivazione organica. In origine, l’ipocondria era considerata sinonimo di malinconia, al punto da essere associata persino alla depressione come meccanismo di autodifesa attuato da chi ne soffriva in reazione a dinamiche sociali e relazionali in cui non si riconosceva più.

L’ipocondria, dunque, in senso più ampio è da considerarsi alla stregua del male oscuro di Giuseppe Berto: un male invisibile, che agisce sottotraccia, sentimento di un male più grande, ovvero il male del tempo. È proprio all’ipocondria che Giulia Caminito dedica Il male che non c’è, romanzo edito Bompiani arrivato in libreria tre anni dopo la vittoria del Premio Campiello con L’acqua del lago non è mai dolce.

La trama di «Il male che non c’è»

Il male che non c’è ha per protagonista Loris, che noi lettori seguiamo dall’infanzia sino ai trent’anni. Il protagonista sembra avere tutto quello che gli serve per sentirsi realizzato: ha una fidanzata, Jo, conosciuta ai tempi del liceo, una laurea in Lettere, un lavoro come redattore editoriale e dei genitori che sembrano appoggiarlo in tutto e per tutto, specie pagandogli l’affitto di casa.

Un giorno, però, bussa alla sua porta un’entità perturbante: Catastrofe. Essa è espressione di un male che turba la vita di Loris rendendogli impossibile vivere appieno la propria quotidianità, a partire dal suo rapporto con Jo. Catastrofe è espressione dell’ipocondria, di un male di vivere e di una paura del futuro che blocca il protagonista e che lo costringe a guardarsi indietro nel passato e a osservarsi dentro come in una pratica di mindfulness che probabilmente lo porterà a conoscere le cause del suo male.

Il male (oscuro) che non c’è

Nella produzione dell’autrice romana, Il male che non c’è costituisce una svolta che, come dichiarato dall’autrice in alcune interviste e presentazioni in libreria, era presente soltanto nei suoi racconti brevi. Nel romanzo, infatti, è presente un elemento fantastico, immaginario, visto soltanto dal protagonista, ovvero Catastrofe. Quest’ultima entità è simile al pupazzo Eric dell’omonima serie tv Netflix oppure all’ombra nera che Sydney Novak osserva nel finale di stagione di I’m not okay with this: tutti e tre sono, infatti, proiezione di un malessere vissuto dai protagonisti che rispecchia il loro sentimento verso il mondo esterno e le loro relazioni sociali.

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Questa proiezione all’esterno del proprio malessere si rispecchia anche a livello di narratologia. L’unica anticipazione che possiamo fare è che, se per tutto il romanzo Caminito mantiene una prospettiva in terza persona, nel capitolo finale dal titolo «Giulia» assume, invece, la prima persona singolare. Sebbene Caminito abbia ribadito più volte – e nel romanzo si nota – che questa non sia autofiction, questo cambio di prospettiva ci fa capire come Caminito abbia proiettato fuori di sé un malessere che lei stessa ha dichiarato di aver vissuto, l’ipocondria, facendolo diventare un malessere segno del nostro tempo come la crisi esistenziale vissuta da Gaia in L’acqua del lago non è mai dolce.

Una mindfulness catastrofica

Non è un caso che all’inizio si sia fatta menzione della pratica di mindfulness, una pratica tipica della psicoterapia in cui il paziente si mette in connessione con i suoi pensieri ascoltandoli e rilasciandoli nel momento in cui deve diventare consapevole di come essi non determinino la nostra persona, ma forse sono segno di un momento della nostra vita che ci aiuta a capire meglio chi siamo e in che direzione sta andando la nostra vita. I pensieri che Loris, infatti, deve ascoltare sono quelli collegati al suo malessere, la cui voce è espressa da Catastrofe, con cui il protagonista deve imparare a confrontarsi se non a lasciar andare del tutto:

Catastrofe è vitrea, ha le gambe incrociate come edera a un bersò, gli occhi sono vispi e le caviglie pelose, potrebbe avere quarant’anni o anche cento, non è facile da capire, però tira su col naso, fa rumore, lo deconcentra. Appena la vede, Loris sente una fitta nel punto che gli dà maledizione da un giorno intero, però questa volta l’intensità è più alta, come una puntura d’ago spesso, forse arriva dall’altra parte, sbuca dalla schiena, dai lombi, lo infilza a baionetta.

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Più si va avanti, più Catastrofe si palesa in ogni momento della sua vita, lo stuzzica provocandogli dolore al ventre – l’ipocondria, dopotutto, si diceva avesse origine dall’addome – e gli fa credere che la sua non è «fantasia, non è ossessione», ma «una patologia e va curato». Loris consulta forum online per mettere a tacere le voci del suo male sottopelle, guarda le pagine social dei suoi conoscenti per cercare un eventuale momento di Schadenfreude che lo faccia stare bene, visita medici e ospedali – circuendo persino la fidanzata per avere i soldi per una visita specialistica –, ma tutti dicono che non ha nulla e che forse dovrebbe andare in terapia, e per questo malanno che nessuno vede si ossessiona al punto da credere che deve nascere per forza da un problema.

Quando si dicevano ogni pensiero, ogni fatica, ogni angoscia, nel farlo se ne liberavano, o comunque insieme riuscivano a sopportarne il peso. Adesso lui non sa più con chi parlare di chi è e di chi sarà in futuro, di paure di fondo e di grandi intuizioni. Rimugina su se stesso in soliloqui e non si capisce, si perde tra le pieghe di un carattere riottoso e duro, un nuovo Loris da cui sembra impossibile fuggire.

Alla ricerca dell’origine del male

È proprio nella parola “futuro” che si trova forse la soluzione. Il futuro di Loris è quello che ha preso in eredità da chi è venuto prima di lui, un futuro che, purtroppo, per lui è diverso e instabile, in quanto non gli garantisce una vita serena senza le preoccupazioni, per esempio, del lavoro, come quello editoriale, che ben presto lascia Loris con un pugno di mosche in mano:

Non li hai più diciotto anni, e il mondo intanto è cambiato. Hai presente? Il mondo, la storia, le generazioni…aggiunge rivolto al padre e disegna in aria le parole che nomina: il mondo tondo, la storia lunga, le generazioni che ruotano e passano e non tornano. Sa già dove stanno per andare a parare, sa già quella narrazione, quel dispiegarsi di colpe e di sbagli, dove li condurrà.

Il male di Loris diventa quello di colui che si è visto negare un futuro sia per colpe familiari – legate soprattutto al nonno Tempesta – sia per il sentimento di precarietà del tempo che lo costringe – soprattutto in tempi di social, dove tramite filtri si osservano foto di vite costruite ad hoc – «ad ascoltare gli altri vivere la vita».

Qui arriva, dunque, il momento dell’espansione della consapevolezza della mindfulness catastrofica intrapresa da Loris: a questo male non c’è una vera e propria soluzione se non l’accettazione del fatto che «il male arriva e passa schiacciando e livellando, deviando il corso del fiume che sei stato», negandogli il futuro che si è immaginato, poiché qualcuno prima di lui gliel’ha negato. Loris si rende conto di dover andare avanti per «inerzia e imperizia» come una zattera in mezzo al mare che, nonostante tutto, ci porterà in salvo e ci farà urlare al mondo di essere ancora vivi.

La luce in fondo al male oscuro

Ancora una volta, Giulia Caminito riesce a parlare di ciò che conosce attraverso il romanzesco, senza usare la scorciatoia facile dell’autofiction. Il male che non c’è (acquista) si mette in gioco usando l’elemento fantastico per raccontare, appunto, qualcosa che è immaginato, ma simbolo di qualcosa di reale: un malessere generato dall’assenza di prospettive, da una precarietà che ci fa capire che, mentre gli altri vanno avanti, noi restiamo indietro. Alla fine, come dice Caparezza, superare il concetto stesso di superamento ci farà stare bene: capire che ognuno ha i suoi tempi e che, in assenza di un futuro che vogliamo, l’unica cosa che conta è esistere. È questa, dunque, la consapevolezza che ci aiuta a guarire dal male che non c’è.

Siamo giovani e pretendiamo che lasciate tutto per occuparvi di noi, di tutti noi che abbiamo paura, di tutti noi che prendete in giro, di tutti noi a cui dite menzogne, di tutti noi che siamo vostre cavie per le scorie e i rifiuti, per le onde e i fumi tossici. Come accade che ci ammaliamo? Vogliamo sapere perché e come si formano dentro di noi i nostri peggiori avversari.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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