Generazioni condannate al precariato

«Niente di male» di Sara Ficocelli

6 minuti di lettura

Sentire dire “il lavoro è un privilegio” provoca una fitta amara alla bocca dello stomaco, come se lavorare gratis fosse un premio, come se la gavetta fosse il male necessario, ma chi determina quanto deve essere lungo il periodo di formazione? Chi sceglie quanto devi patire la povertà e/o il senso di colpa dell’essere un figlio da sostenere? Figuriamoci, poi, se oltre a un supporto economico serve anche psicologico.

La lettura di Niente di male di Sara Ficocelli (Astarte edizioni, 2024) ha riportato a galla una serie di riflessioni precarie come la natura del mondo del lavoro.

Si parla tanto delle nuove generazioni e di ciò che la Gen Z non è più disposta ad accettare, ma cos’hanno vissuto quelli della generazione X e a che punto sono oggi? Sono coloro che hanno subito più di tutti il passaggio dall’era analogica a quella digitale, che hanno pagato le spese della crisi economica che nel 2008 ha bruciato ogni possibilità di stabilizzazione e progresso. Nel terzo romanzo di Sara Ficocelli torniamo indietro nel tempo, a quando il #MeToo nel mondo del cinema era un pensiero remotissimo, più di quanto lo è negli ultimi anni nel mondo del giornalismo.

È il 2007 quando Anna, la protagonista, decide di lasciarsi alle spalle la tranquilla vita di provincia per iniziare uno stage in un prestigioso settimanale, Terre di confine, a Roma. Da Modena, dov’è nata e cresciuta, si trasferisce nella Capitale per rincorrere il sogno di diventare una giornalista. Come se fosse un diario, Anna racconta la sua vita quotidiana costellata di addii e nuovi incontri, una routine da addomesticare, i sacrifici che le grandi occasioni portano con sé.

«Sai quando ti svegli la mattina e pensi solo a una cosa, e poi tutto il giorno pensi solo a una cosa, e la sera vai a letto e pensi solo a una cosa, e non è che non senti la fatica e magari ogni tanto te ne lamenti pure, ma per tutto il tempo sai che ne vale la pena? Ti sei mai sentita così?».
«Credo proprio di sì».
«Davvero?».
«Il giornalismo mi piace un sacco».

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«Niente di male», il confine tra amare il proprio lavoro e fare un patto con il diavolo

Amare il proprio lavoro, il più delle volte, vuol dire superare la fase d’innamoramento e imparare a conoscere i fantasmi e i compromessi che spesso vanno oltre ciò che personalmente possiamo accettare. Fino a che punto siamo disposti a rinnegare i nostri ideali pur di realizzare un sogno? È come fare un patto col diavolo: qualunque sia la scelta, a cadere in piedi è sempre il contraente, il datore di lavoro o chi per lui.

I vari personaggi che affiancano Anna mostrano un lato sfiancante del mondo del lavoro, sembra quasi che non ci sia una via d’uscita dallo sfruttamento e dal crollo delle illusioni, ma è davvero così?

Ognuno reagisce a modo suo. Ognuno affronta la vita a modo suo. Anche nel peggiore dei modi. Perché siamo nel peggiore dei mondi. Che almeno ci venga data la possibilità di cadere senza l’ansia di doverci rialzare, e in fretta. Che almeno, nella caduta, ci venga concesso il lusso della libertà. Questa parola vuota, questo traguardo di cui ci hanno privato, consegnandoci al precariato. Economico, interiore. Una generazione condannata ad accettare l’ipocrisia e l’ingiustizia come un male necessario. Abituata a credere che sia corretto così, che se non ce la fai è perché non vali abbastanza, o perché non ti sei impegnato abbastanza. Ragazze e ragazzi cresciuti in una prigione costruita intorno a loro fin dalla nascita, dove oltre le sbarre ci sono quei diritti, quegli spazi che dovrebbero essere garantiti. E che, nel perimetro di quella gabbia, diventano privilegi.

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All’altare della carriera non tutti sono disposti a immolarsi. Ed è bene aprire gli occhi, prima di ustionarsi con l’amara realtà. Cura: leggere Niente di male di Sara Ficocelli (acquista). Autrice e giornalista – ha collaborato con le riviste CosmopolitanDonna modernaPanorama Economy e Il Venerdì, dal 2007 lavora per Repubblica – prende (forse) spunto dai suo anni di tirocinio e firma un romanzo in cui la stagista intraprendente non si lascia sottomettere dall’ipocrisia di un mondo che nega diritti fondamentali con la falsa promessa di un futuro brillante. Consigliato a chi non vuole far parte di un mondo che soffoca la giustizia, anziché combattere per essa. Dedicato a chi ogni tanto pensa di fallire, di non farcela e – come dice l’autrice – non c’è niente di male in questo.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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