Memorie spezzate, figli di sé stessi

«Piatti rotti» di Esther Bondì

7 minuti di lettura

Tornare ad alcuni ricordi balordi riapre vecchie ferite mai guarite, riporta a un passato instabile e precario, mai perdonato. Anna, la protagonista di Piatti rotti, romanzo d’esordio di Esther Bondì (Giulio Perrone Editore, 2024), di vite ne ha vissute mille e tutte queste hanno in comune un grande dolore: l’assenza della madre.

È cresciuta con figure genitoriali instabili emotivamente, tra le macerie dei sentimenti dimenticati che gli adulti si lasciano alle spalle e con cui però i figli o le figlie sono costretti a fare i conti. Anche quando si tratta di problemi incomprensibili per loro.

«Piatti rotti», ovvero quando un legame si spezza

Il padre, di famiglia ebraica, si allontana dalle bambine dopo la separazione dalla madre. La donna si fa sempre più assente e preda di una malattia mentale che la porterà a trascurare gravemente le sue due figlie, Anna e Sara, e poi a lasciarle alle cure dei nonni. In un continuo trasferirsi di casa in casa e di città in città, le due sorelle si accudiscono a vicenda.

Anna voleva una penna rossa. Una penna rossa per correggere il mondo, mettere voti alle facce e dire: tu otto, tu cinque, tu rimandato: nella mia vita non hai fatto mai bene. 

In questo recupero della memoria frammentato e zigzagante, Anna prova ad assegnare il posto giusto alle cose, si affida alla voce dei cari, le persone che le parlano da quando è al mondo.

I ricordi della nonna di una Milano distrutta dalla Seconda guerra mondiale, mentre il risotto manteca. Le stranezze della madre che lascia le bollette appese fuori dalla finestra. La sua incuria, che scappa ma torna e poi abbandona. I debiti al supermercato e il dovere che le due sorelle hanno di essere giovani adulte. La nuova vita del padre, anche lui assume con difficoltà il ruolo di genitore. I traslochi. La sorella che infine parte per Berlino. La solitudine.

Nel continuo sforzo di ricostruire il puzzle, Anna raccoglie i pezzi di un passato a lungo ignorato o sottovalutato. Attraverso il ricordo, si concede infine il lusso di lasciare andare il dolore.

Ogni parola si definisce solo in rapporto alle altre, era questo il segreto del linguaggio, se nulla esiste per sé, come spiegare a parole, se le parole non sono? E se ci fosse un’unica parola a rappresentare il tutto, quale sarebbe? Anna continuava a pensare. Il filo ormai era perso, e le parole nella bocca di Anna si spezzavano a ogni sillaba.

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Un romanzo scomposto

Con uno stile narrativo frammentario, a tratti poetico, Esther Bondì gioca con il non detto e invita il lettore a vivisezionare i cocci di un passato da cui Anna spera di redimersi. L’unico modo che le rimane di raccontarsi questa storia, un puzzle di fallimenti, e riappropriarsi del presente e della propria identità. Se questo può risultare respingente a una prima lettura, andando oltre le prime pagine appare chiaro che questa scrittura spezzata è un modo per farsi conoscere attraverso le fessure delle ferite che negli anni la voce della protagonista ha taciuto, sovrastata dal caos degli adulti che tali non erano. Piatti rotti reclama quell’infanzia spensierata da cui la protagonista è stata defraudata. Nonostante abbia dovuto fare i conti con l’essere adulti sin da bambina, ecco che a parti inverse Anna ha l’impressione di «perdere acqua»:

Perdeva acqua a casa, prima di alzarsi, di notte, nei sogni. Perdeva di giorno, andando in stazione, il treno, università La Sapienza, stazione, metro, treno, stazioni, Bracciano, La Storta, Cesano, Piramide, al baretto là fuori, bruttino ma buono il caffè e le tazzine, perdeva parlando, le amiche, facendo le gite. Perdeva acqua passeggiando, cucinando la cena, mangiando il gelato, perdeva pensando, facendo la doccia, perdeva bevendo, persino leggendo. Qualcosa era scoppiato.

Piatti rotti (acquista) è una storia originale fatta di emozioni sospese e affetti celati dietro discorsi che non siamo mai in grado di pronunciare di fronte ai bambini, parole che si tramutano in segreti e, una volta adulti, diventano realtà a cui non si può porre rimedio. Si può solo lasciare andare.

Un libro consigliato ai figli di sé stessi

Al romanzo segue il racconto omonimo che accende il fuoco della narrazione. Capita spesso di leggere un romanzo e trovare involontari richiami ad altre letture passate. Il momento in cui i genitori di Anna si separano, quando lei e Sara sono ancora piccole, fa tornare in mente una pagina di Alessandro Baricco in Novecento, quando all’improvviso il chiodo si stacca, il quadro cade dalla parete e il narratore si interroga sui segreti dietro questo («Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più?»). 

Allo stesso modo, i litigi creano delle fratture da cui è impossibile proteggersi. Per questo motivo, questo libro è dedicato a chi si sente incompreso, non amato, ma prova a diventare un adulto migliore dei tanti esempi che lo circondano. Un romanzo consigliato a chi è stato e sente di essere ancora figlio di sé stesso. A chi per questo fa ancora fatica a trovare la propria identità.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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