Imparare a gestire i propri turbamenti costa fatica, cadute, rabbia. Fare i conti con il proprio dolore vuol dire dissociarsi dalla realtà e perdersi nell’oblio di sé. Capire come uscirne vuol dire grattare dove fa male, dove sanguina, farsi spazio tra le ferite e curarle affinché diventino bellissime cicatrici.
Vuoto d’aria è il romanzo d’esordio di Clémentine Haenel, pubblicato in Italia da Alter Ego Edizioni, con la traduzione di Valentina Maini: un esordio crudo e corporeo, il racconto di un dis-ordinario vagabondaggio psicotico.
Mi sento persa, scappo da me stessa senza alcun metodo né applicazione: testa pesante, occhi infossati, due unghie che mi pizzicano il retro del cranio; e da sotto, la vertigine.
«Vuoto d’aria» e nuove speranze
La protagonista non ha nome, come non ce l’hanno gli uomini che frequenta, indicati con le lettere X, Y e Z. «Cos’è un nome?», si chiedevano i Romeo a Giulietta di William Shakespeare; in Clémentine Haenel questa spersonalizzazione perde i suoi connotati romantici per condurre il lettore verso la volontà di distruzione del personaggio principale, mentre notti disordinate e pallide mattine si susseguono una dopo l’altra, mentre di casa in casa la protagonista si lascia stringere dalle mani di molti uomini, lascia che il suo corpo sia usato e calpestato.
La notte, mi apro. Mi svelo; mi spoglio. Possono rotolarmi sopra. Tutti, o quasi, hanno almeno una possibilità di passare sul mio corpo. Non mi rispetto: è questo che dicono. Mi scivola addosso. […] Io: me ne frego, la notte ho bisogno che un corpo mi investa. A volte non lo voglio davvero, ma succede. Mi sveglio e schizzano i ricordi.
Un romanzo fatto di frammenti, frasi brevi, sincopate, taglienti; un libro che si nutre di tensioni, zone grigie, ricordi annebbiati dall’alcol, divorati dal fumo di una sigaretta.
In un mondo sempre in bilico tra depressione e desiderio, il filo da seguire è un groviglio di pensieri che passa attraverso una spirale distruttrice, un tentativo di suicidio, un ospedale psichiatrico, fino alla matrice dell’insofferenza. Parigi, poi Londra, la Svezia, un viaggio alla ricerca di un altrove dove possa finalmente stare bene.
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Le due forze all’interno del romanzo sono: l’irrefrenabile tendenza a deragliare, testa pesante, occhiaie scavate, senso di vertigini; la speranza che si ripresenta sotto forma di un nuovo amore.
Ultima notte vagabonda, è così che la chiamo, la lezione da imparare, è quello che ripeto a me stessa. il risveglio è troppo pesante. Non scordare la vergogna. Dovrebbe starsene nel corpo, la vergogna. Ho come una voglia di diventare ragionevole, non spingere più la notte fino alle sue ultime frontiere, smettere di lasciarmi andare a chiunque. Mi divora il ridicolo. Mi intralcia. Mi impiglio.
Di notte. Perché sempre di notte accado le cose. Cima e abisso di ogni nuovo giorno, il corpo si spoglia e si lascia andare a ogni oscillazione, si scopre oggetto desiderante mentre il mondo intorno si fa vortice delle proprie inquietudini. E abbandona il lettore con il suo stomaco accartocciato, come le lenzuola, come i polmoni.
Tra gola e polmoni
Questo non è un romanzo classico, ma la schizofrenica insofferenza di una ragazza che si rende finalmente conto di avere una vita davanti, nonostante il dissidio interiore.
Vuoto d’aria di Clementine Haenel (acquista), dal titolo originale Mauvaise passe, non è un qualsiasi brutto periodo: è il resoconto di un viaggio nelle viscere del proprio inferno. Riconoscere i confini del proprio annichilimento richiede uno sguardo lucido sulla realtà che non è mai scontato, uno sforzo che, sì, lascia un vuoto d’aria tra la gola e i polmoni.
Un romanzo consigliato a chi ricorda con esattezza come fosse la vita prima di un brutto periodo, ma stenta a riconoscere di esserci dentro. Non è una storia per scoprire come trovare la via d’uscita, ma uno specchio in cui riconoscersi dentro. Piccoli, fragili, desiderosi di respirare.
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