Troppa, eccessiva, noiosa felicità

«88/100» di Antonio Vangone

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88/100

«Troppi si immergono senza sapere nulla, puntano alle profondità senza capire come sono fatte, le correnti, le formazioni, le creature, come sono i fatti mostrati, certissimi dei propri strumenti vetusti». Così scriveva Antonio Vangone in Bosco denunciando una certa superficialità da parte di gran parte degli scrittori nel trattare la realtà. Parlare del reale, editorialmente parlando, sta diventando sempre più noioso, ripetitivo, e quasi nessuno prova a trovare nuovi modi per dire le stesse cose.

Vangone, però, ha dimostrato essere un autore funambolico, che non ha paura di giocare con la finzione e con la struttura per raccontare la realtà mostrandocela con occhi nuovi. Stavolta l’autore napoletano ci ha riprovato con altre microfinzioni, questa volta raccolte in 88/100 e pubblicate sempre da declic, casa editrice che ha fatto di questa rottura della noia editoriale ormai il suo tratto distintivo.

Cosa raccontano le microfinzioni di 88/100

Padri giovani che corrono contro il tempo, falsi profeti che vomitano rane, cuochi in cucina, salme di santi in processione, radiografie, lingue di fuoco e chi più ne ha più ne metta. Queste e tante altre cose sono contenute nelle microfinzioni di 88/100, un concentrato di dettagli – spesso irrilevanti – che Vangone raccoglie per cercare di raccontare una realtà che è sempre un frammento di quello che vediamo e percepiamo.

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Antonio Vangone viaggia attraverso le sue storie fra passato, presente e futuro, spesso inventando microstorie mitiche e microleggende, spesso non lesinando stoccate al nostro sistema editoriale e al modo in cui ci approcciamo alla vita. «Tutto è previsto o era prevedibile, l’unica cosa che non si capisce è il punto»: Vangone prova a indagare cosa significa trovare il punto in una storia, soprattutto considerando che spesso una storia monotona non porta mai da nessuna parte.

Significato di «88/100» e confronto con «Bosco»

Per parlare della nuova fatica di Vangone ci si concentrerà sul titolo, o meglio sui suoi titoli. Si comincerà con 88/100. Il nuovo libro dell’autore napoletano viene rappresentato come una ricerca di soddisfare una realtà che non è mai abbastanza, e il titolo è significativo in questo senso: le storie qui raccolte cercano di soddisfare l’88% di ciò che è la realtà, che alla fine è sempre un frammento di quello che vediamo. Dopotutto, secondo Walter Siti, il realismo è l’impossibile, ovvero il realismo non è altro che sporgersi sulla realtà senza mai afferrarla completamente.

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Oltre a 88/100, significativi sono anche i titoli dei capitoli del libro: L, M, M, G, V e S. Questi altro non sono che i giorni della settimana, ma non ci sono tutti. Manca, infatti, la domenica, a riprova di come sia impossibile pretendere di essere fedeli al massimo alla realtà. In La settimana, infatti, Vangone dice: «LA DOMENICA le possibilità di diventare re di Svezia sono molte basse ma mai zero». Le possibilità di essere fedeli alla realtà sono in realtà minime, ma si possono concretizzare se si prova ad avvicinarla in maniera nuova.

Una soluzione alla crisi algoritmica

Ed è qui che 88/100 e Bosco in un certo senso si incontrano: nella sfida all’arroganza editoriale. Il nostro sistema editoriale vuole a tutti i costi mostrare di saper essere fedele alla realtà, vuole imporre la sua realtà come l’unica possibile, ma alla fine la mostra soltanto in maniera banale e ripetitiva e dunque parziale.

La «crisi algoritmica» di Bosco qui viene aggirata nel momento in cui all’autore viene detto dalla finzione – sotto forma di angelo in Spirale-Le apparizioni dell’angelo – «scrivi quello che ho detto agli altri, che non hanno capito niente», ovvero usando le storie di chi non ha capito niente per far capire da un lato che non è stato detto tutto, e dall’altro che farlo, alla fine, non è semplice.

Scrivere perché gli altri non hanno capito niente

Si partirà, allora, da qui, dalla critica al sistema editoriale che Vangone fa giocando con certi schemi ripetitivi e, come il picchio che becca l’albero su cui poggia, minandoli dall’interno. Un esempio di questo attaccare il sistema dall’interno sta nella Biografia disinteressata dell’autore, dove, ad esempio, troviamo il solito schema dello scrittore che «insegna scrittura creativa e sceneggiatura in un proficuo schema piramidale».

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La denuncia di Vangone verso la ripetitività del sistema editoriale continua anche in Masticare, dove afferma di dover stare attento alle «finzioni e agli approfondimenti e alle ritorsioni, prestando attenzione a non mordersi la lingua e sanguinare», ma anche in Risposte multiple, racconto scritto come fosse un questionario – esperimento già tentato in America da Myla Goldberg con Test di comprensione, racconto incluso nell’antologia di minimum fax Burned Children of America – dove si denuncia «l’ottusità che permea l’insegnamento delle lettere nel sistema scolastico italiano» e letteralmente il nulla che rende il racconto meritevole di essere pubblicato.

Interessante in questo senso è anche il racconto Polina, città-catalogo, dove alla fine si scrive che «la città è troppo impegnata a frugarsi per darsi ascolto». Ciò che traspare, dunque, è che il sistema editoriale italiano non solo è troppo attaccato agli schemi e alla scrittura istituzionalizzata, ma è troppo attaccato all’introspezione, che spaccia per realtà quando, invece, quest’ultima non la propone nella sua interezza, anzi, l’introspezione la banalizza, in quanto la propone attraverso schemi ricorrenti e ormai istituzionalizzati.

Condannati all’utile aspettando una vita piena di sogni

Vangone sintetizza perfettamente questa situazione nel finale di L’inutile a Lubri nel momento in cui scrive che, in mezzo a tanti fra scrittori e artisti, si raccolgono inutilmente idee per parlare di se stessi, ma in realtà non si dice nulla di concreto:

Tutti raccolgono dalla vita idee e impressioni per l’ora della loro morte, quando nel tempo infinito che la segue potranno finalmente sviluppare i segreti dell’anima. Condannati all’utile, aspettano tutta la vita un riposo pieno di sogni.

La soluzione alla monotonia della narrazione sta, dunque, nel sogno, nel gioco – inutile per gli scrittori mainstream – della finzione. Per Vangone, scrivere significa per forza di cose raccontare l’inutile senza pretese di essere fedeli del tutto alla realtà, ma anche giocare con esso, giocare con la vita, poiché solo in questo modo si può pretendere di «inabissarsi nelle nebbie del sogno» per fare narrativa e per cercare di raccontare la realtà.

Attraverso racconti in forma di questionari, brevi frasi dettate dall’intelligenza artificiale o cataloghi di cose inutili, Vangone tematizza l’avvicinamento alla realtà. In questo senso è significativo il racconto Cerchio-Scrivere il cerchio: «un periodo così inizia come finisce però mantiene significato anche se è difficile scrivere tutto in». Essere sconclusionati, sovvertire l’ordine degli schemi editoriali e sentirsi catalogati come fuori dalle righe sono presupposti essenziali per fare narrativa, cioè rappresentare la realtà come veramente è: mai finita, mai perfetta e spesso inutile.

La vita è noiosa, ma comoda; la scrittura è scomoda, ma viva

Le microfinzioni di 88/100 (acquista) dimostrano ancora una volta come la vera narrativa e la vera letteratura si faccia nel bosco – si scusi il gioco di parole con il precedente lavoro di Vangone –, ovvero come si faccia nel luogo dell’inutile, che si dimostra al contempo il luogo delle possibilità. Se la vita è noiosa, ma comoda, Vangone ci propone una scrittura scomoda, a modo suo imperfetta ma viva, e per questo vicina alla realtà. La realtà come la scrittura è imperfetta, è inutile, e rappresentare questo suo aspetto ci permette di afferrarla e di arrivare alla verità.

L’autore, il cui nome è ininfluente, è nato in un luogo come un altro in una data che non ci dice nulla sulle sue capacità. Ha studiato nella sua stanza con vario profitto. Lavora suo malgrado, è apparso qui e lì senza nemmeno essere morto. Scrive su grandi testate e su una discreta ginocchiata e ha pubblicato uguali romanzi. Insegna scrittura creativa e sceneggiatura in un proficuo schema piramidale.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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