Alma ritorna a Trieste, alla ricerca di una tregua nel proprio confine

«Alma» di Federica Manzon

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«Alma» di Federica Manzon

Tra i ricordi un po’ sbiaditi dell’infanzia di Alma c’è un’isola dov’è sempre estate. I bambini parlano lingue diverse dalla sua, uomini in giacca e cravatta e donne vestite come dive del cinema passeggiano in riva al mare. Soprattutto, c’è il Maresciallo, sempre vestito di bianco. È lì che Alma desidera tornare, dopo anni di autoesilio a Roma, quando è costretta a rientrare a Trieste per raccogliere l’eredità paterna.

Da queste premesse inizia Alma, l’ultimo romanzo di Federica Manzon (Feltrinelli, 2024), vincitore della 62esima edizione del Premio Campiello

Tornare nella sua città vuol dire annegare nel passato. Alma passeggia per le vie di Trieste e ritrova i luoghi che hanno segnato la sua infanzia e l’adolescenza, il dramma della guerra che ha devastato i Balcani, la dittatura di Tito, la rivoluzione. Per lei che ha vissuto sul Carso, a un passo dal confine, la guerra è «un groviglio di fatti di difficile interpretazione».

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Alma è una perfetta figlia di Trieste. I nonni rappresentano l’alta borghesia asburgica, la madre è fuggita via da quella gabbia e adesso lavora nella Città dei Matti, dove Franco Basaglia mette in pratica le sue teorie, screditate, per questo rivoluzionarie, sulla psichiatria. Un non luogo di felice follia, per la piccola Alma. Il padre è una figura evanescente di cui non si conoscono bene le origini ma che sparisce continuamente “di là”, oltre il confine.

Lei non ha mai davvero saputo cosa facesse suo padre per Tito, quali fossero i suoi compiti, e per l’uomo parlare del passato era cosa inutile: «La geografia ha sempre la meglio sulla Storia». Invece, di tutto questo parlava con Vili, figlio di intellettuali serbi caduti in disgrazia, portato a casa loro una notte della sua infanzia. Il ragazzo diventa un complice, un fratello, un amore, un dolore.

Alma non si è mai chiesta se a spingerla ogni volta verso Vili fosse il fatto che lui veniva dalla parte del mondo a cui apparteneva suo padre e che per lei significava fantasmi e desideri, oppure il fatto che, anche se per ragioni diverse, sentiva che condividevano un’uguale irrequietezza, il bisogno di non dare conto delle proprie intenzioni e andarsene. Lo avrebbe amato lo stesso se lui non fosse stato l’esiliato del Danubio?

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Dalla grande Storia alla storia di Alma

L’intero racconto è un riavvolgersi del nastro verso l’infanzia e di nuovo al presente, in quel mondo balcanico poco conosciuto e mai davvero compreso. Ma Alma, pur di comprendere Vili, decide di seguirlo fino alla parte sbagliata della Storia, quella serba. 

Anni dopo la morte di Tito, il padre torna a casa e diventa l’uomo che non ha mai desiderato essere, ed è allora che Alma sceglie di raggiungere Vili a Belgrado. Ha bisogno di capire. Lì può scrivere articoli per raccontare gli eventi di guerra in un giornale di Roma, la città in cui è scappata, una capitale in cui è facile nascondere la propria origine. Raccontare la guerra dall’interno, attraverso le sue lettere dal fronte, in realtà non le fornisce una lente per comprenderla meglio. È smarrita e, per questo, Alma scappa anche da Belgrado. 

Sei solo andata a infilarti nella parte più difficile da capire.

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Alma (intuibile dal titolo) è la protagonista, ma la narrazione in terza persona permette di lasciare il giusto spazio di comprensione a tutti i personaggi, entrando in punta di piedi nella complessa ex Jugoslavia. Il tempo del romanzo è scandito dalle tre giornate della Pasqua ortodossa, unico punto fermo per il lettore che viene spostato dalla grande Storia alla storia di Alma, attraverso conflitti, violenze e rivendicazioni di un’identità nazionale, attraverso fotografie e parole

A ricucire lo strappo, ci pensa proprio quella persona che ha fatto della fuga il proprio marchio esistenziale. 

In quel momento aveva realizzato che suo padre non le aveva raccontato niente di sé, solo qualche contorto frammento del Paese in cui era cresciuto e che ora non esisteva più, e lei sapeva cosa significa perdere un’occasione o anche una persona, ma non cosa significa perdere un Paese. Ecco la domanda che avrebbe dovuto fare a suo padre. Si era girata per cercarlo di nuovo, ma dalla stazione avevano chiamato il suo treno e lei aveva lasciato perdere. Quella era l’ultima volta che l’aveva visto.

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Confini

In occasione della vittoria del Premio Campiello 2024, l’autrice Federica Manzon ha scelto di dedicare questo libro

[…] a tutte le persone che hanno attraversato i confini, soprattutto il confine orientale di Trieste e che lo fanno immaginando e sognando un presente migliore in un momento in cui a Trieste prima ancora che in altre parti di Europa, Shengen è stato sospeso e lo è ancora. Vorrei che questa piccola cosa mia fosse di buon auspicio.

L’eredità del padre non è che questo: finalmente capire che la vittoria non sta nella salvezza lontano da casa, ma nella tregua nel proprio confineAlma (acquista) è un romanzo consigliato a una persona che si interroga su chi è, sulla necessità di avere delle radici, sull’eterna lezione che scappare da un luogo vuol dire scappare da se stessi, ovvero è impossibile. Un libro che parla delle guerre, non solo quella dei Balcani ma le guerre di oggi. Un romanzo sul passato che risveglia la certezza che le guerre sono simili tra di loro, uniche e universali, eppure non abbiamo ancora imparato nulla.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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