Plagiare e colmare le faglie interiori

«Amigdala» di Riccardo Frolloni

12 minuti di lettura
Amigdala

Si parla di plagio in due contesti: quando ci si appropria indebitamente di un prodotto artistico altrui o di alcune sue parti e quando si manipola la mente e il pensiero altrui per asservirli alla propria soggettività e sfera di influenza. La letteratura, in fondo, è un atto di plagio: ci si appropria di idee portate avanti da altri e le si manipola per farle proprie e presentare una verità artistica asservita ai propri scopi.

Sul plagio si basa Amigdala, nuova fatica del poeta Riccardo Frolloni edita da Nino Aragno Editore nella collana “i domani” curata da Laura Pugno, Maria Grazia Calandrone e Andrea Cortellessa. Come per il precedente Corpo striato, anche qui Frolloni torna alla figura del padre in un racconto in versi che, attraverso un momento preciso della vita del genitore, ragiona sul senso del plagio e di conseguenza sulla verità.

Di cosa parla «Amigdala»?

Amigdala si apre con il terremoto del settembre 1997 avvenuto fra l’Umbria e le Marche, un evento che ha aperto una faglia nella vita del protagonista consistente nell’assenza del padre:

Ma la paura ha due facce e la violenza/più grande del terremoto è quella dell’assenza, nel mio caso, mi accorgo ora,// mentre dalle finestre di casa volo via con tutti i fantasmi dei secoli, che di tutte/ le parole mancanti, la più piccola, la lettera muta, è la voce di mio padre che manca

Il padre dell’io lirico, infatti, viaggiò fra le Marche e la Romania, dove entrò a far parte di una psicosetta di commercianti guidati da un uomo di nome Ideale. Quest’ultimo ha convinto sia il padre dell’io che gli altri membri della setta della possibilità nel post-Ceaușescu di una comunità utopica fondata sulla democrazia, il lavoro e la ricchezza, ideali alla fine traditi dal santone stesso, che alla sua morte si è portato via tutto.

Leggi anche:
«Vascello fantasma», orientarsi nell’assenza

Alla morte del padre, l’io lirico trova foto, agende, appunti del padre e del suo viaggio verso la Romania per confrontarsi con il plagio subito dal genitore e riflettere sui motivi della sua assenza in un periodo fondamentale della sua vita quanto l’infanzia ragionando su cosa possa spingere un uomo a lasciare tutto pur di inseguire un’illusione.

Dal corpo striato all’amigdala: la letteratura è un fatto cerebrale

Il lettore più attento avrà notato che fra le ultime due raccolte di Frolloni vi è un punto in comune: il titolo. Sia Corpo striato che Amigdala sono titoli che rimandano al sistema nervoso: se il primo si riferisce al nucleo alla base del nostro cervello che gestisce i nostri movimenti, il secondo, invece, è quella parte del lobo temporale del cervello che gestisce le emozioni associando le informazioni, i ricordi e le sensazioni relative al mondo esterno con determinate sensazioni.

Leggi anche:
«Non praticare il cannibalismo» e altri consigli utili: la poesia di Ron Padgett

Date queste premesse, azzarderemmo a dire che per Riccardo Frolloni la letteratura sia un fatto cerebrale, ossia qualcosa che nasce dall’esterno (nel caso delle sue due raccolte la morte, l’assenza e allo stesso tempo il ricordo del padre) e muove la sua azione artistica, che gioca sul confine fra presenza e assenza, ricordo e razionalità.

Anche il plagio a cui fa riferimento è un’azione cerebrale: mosso dalla paura del vuoto e dell’assenza, infatti, Frolloni prende fotografie, ricordi, riferimenti a personalità come Cicerone, Theodor W. Adorno e persino Wanna Marchi per creare la sua narrazione e la sua verità su un lato misterioso e pieno di dubbi come la fallita utopia a cui prese parte il padre. Dopotutto, come scrisse in Corpo striato, solo «La morte è reale. Pertanto usiamo la finzione, la narrazione, per esorcizzare, superare, elaborare la morte».

Il plagio secondo Riccardo Frolloni

Prima di parlare dell’esperienza fallimentare del padre dell’io lirico nella psicosetta guidata da Ideale, ci si soffermerà ora sulla funzione che il plagio ha per l’io lirico e, dunque, per Frolloni. Come si è detto prima, l’autore ricorre al plagio come reazione alla paura per l’assenza del padre, un vuoto da colmare per ragionare a mente lucida sui motivi che l’hanno portato a essere assente durante la sua infanzia:

In realtà, la funzione originaria, biologica, della paura non è quella di disorganizzare i comportamenti bensì il contrario, organizzarli in vista di una soluzione in sintonia con l’istinto di sopravvivenza. Esistono però paure controproducenti, come la paura di vivere e la paura di morire: il desiderio di non essere separati dalle cose e dalle persone che ci proteggono e il desiderio di essere indipendenti e potenti.

Leggi anche:
L’esistenza segnata dalle piccole pietre

Riportando l’esempio del pollo affamato e dei piccioni che non riescono a raggiungere il cibo, l’io lirico racconta come la paura porti a frustrazione e allo stesso tempo ad attività di sostituzione. La frustrazione nel non poter dare una vera risposta all’assenza del padre porta l’io alla finzione letteraria, che gli permette di colmare il vuoto lasciato dal genitore raccontando e comprendendo una storia che altrimenti resterebbe a lui sconosciuta:

Ho imparato a interpretare i gesti, i contesti,
quando è più facile dire di sì, ché dire di no
necessita una spiegazione, troppo complicata,
ma quando dire di sì non è possibile, si dice tutto
nel non-detto, nell’accennato, si parla col corpo,
con i toni, le pause, i silenzi, i riferimenti, i simboli,
sostanzialmente, si torna a un lessico animale.

Imparare a leggere le foglie della Sibilla

Detto ciò, all’io lirico non resta allora che rattoppare la faglia interiore che il terremoto dell’assenza paterna ha lasciato riempiendo i non-detti con le sue riflessioni e le sue narrazioni. L’io lo fa leggendo le lettere, gli appunti dell’agenda e le foto che il padre gli ha lasciato, ma anche fra i ricordi delle cene con gli amici di famiglia, quegli zii e quelle zie acquisite che in realtà erano vittime come il padre della sete di potere di Ideale.

Ora che so –
con la morte sembra che le cose acquisiscano il diritto di parola –
provo pena, penso alla fragilità, all’impossibile alternativa,
alla sicurezza della sacralità, all’affidarsi, l’abbandonarsi, sacrificarsi, lo rivedo
dormire sul divano ancora vestito ad aspettarmi.

Certe storie non erano mai state chiare, ma tutto si rimuove,
come gnu, attraversato il fiume, svaniscono anche i coccodrilli,
avevo il sospetto di un rapporto mafioso, di una combriccola di commercianti
che si passano rifornitori, contatti, suggerimenti, mutuo soccorso, ma mai
mai il sonno della ragione.

La morte del padre aiuta l’io lirico a sviluppare la narrazione e ad assumere il controllo dell’assenza e della paura. Con la parola poetica, l’io riesce a dare risposta a ciò che ha portato il padre a riporre speranza in un uomo come Ideale, un mostro che, dal Deuteronomio ebraico, è da intendersi come colui che ha persuaso la mente di ingenui commercianti per arricchirsi e perpetrare il male.

In questo percorso nel passato del padre, l’io lirico giunge a conclusione che due sono le cose che hanno portato l’uomo a riporre fiducia in un’utopia: la paura per l’incertezza del futuro, causata da un periodo storico come quello della fine degli anni Novanta che porta con sé la fine di ideali che hanno governato metà ventesimo secolo, e l’amore che Ideale ha mostrato per lui, un amore «sciocco, ingannato, soverchiato» che gli ha promesso benessere e consolazione, ma che l’ha condotto al fallimento. Sempre per amore, l’io lirico ha provato a colmare l’assenza e l’insuccesso del padre dandogli giustizia e assolvendolo da ogni colpa in quanto vittima di un male e di una paura che governano le nostre azioni e che spesso ci portano a rinunciare a ciò che di più caro abbiamo.

Possedere un’assenza

Amigdala (acquista) costituisce così un altro capitolo fondamentale di una riflessione poetica sull’assenza e la perdita che Riccardo Frolloni ha iniziato con Corpo striato. Giocando col confine fra verità e manipolazione, il poeta marchigiano ci illustra come la verità non sia altro che un insieme di frammenti di storie che costruiscono «una nuova falsità», un plagio, quindi, fatto per cercare di colmare un’assenza che ci fa paura, che ci rende incompleti e incapaci di andare avanti dopo l’esperienza della perdita. La parola poetica riesce a farci superare il vuoto forgiando una nuova verità che da un lato ci protegge dalla paura, ma dall’altro ci assolve dalle colpe commesse.

La storia raccontata in questi versi è una storia vera in parte, o meglio, è un insieme di frammenti di storie, di verità parziali che formano insieme una nuova storia, una nuova falsità; sono briciole di racconti altrui incollati insieme con la mia storia familiare, usando me stesso e i miei genitori come personaggi. Ci sono poi gli anni Novanta della profonda provincia marchigiana e la Romania euforica del dopo dittatura comunista. C’è quella ingenua fragilità di chi sogna di sfuggire alla terra, come chi sogna di volare o di vincere tanti soldi alla lotteria. Ma non è la storia di un sentimento sano, perché interviene una manipolazione e la speranza diviene prigionia.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.