Nel 1988, nel suo album La pianta del tè Ivano Fossati incluse una canzone dal titolo La volpe, una canzone sull’incognito, sulla paura per ciò che verrà: «Che sarà quell’ombra sulla strada», canta Fossati, «sarà la volpe quando viene l’inverno sarà». La volpe simboleggia la furbizia, la lussuria, ma anche l’arroganza: simboleggia un male che può spaventarci, ma allo stesso tempo può darci una ripartenza, poiché si ripete, così come l’animale torna sempre d’inverno, e sappiamo già che dopo il suo ritorno c’è sempre un nuovo inizio, un amore che ci aspetta.
La volpe costituisce il sottotesto di Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino, romanzo d’esordio della genovese Chiara Ghiglione segnalato alla XXXVI Edizione del Premio Italo Calvino e pubblicato da Agenzia Alcatraz nella collana Labirinti diretta da Sergio Vivaldi. Dopo un’esperienza fra poesia e racconti brevi, l’autrice genovese racconta in un romanzo breve la stessa paura per l’incognito e la stessa attesa di speranza raccontata da Fossati.
La trama di «Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino»
Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino è ambientato nel paese immaginario di Sant’Orsola di Belleni, per tutti semplicemente Belleni, un paesino sull’Appennino che negli anni è stato ripopolato offrendo case a un euro al mese e che col tempo si arricchisce di venti case, un’osteria e una chiesa. Belleni è un mondo a se stante, dove all’apparenza il male non può entrare.
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Un giorno, però, il male arriva pure a Belleni, rompendone la sua corazza. Una delle donne del paese, Abril, ragazza spagnola che condivide un’agenzia di progettazione e grafica di comunicazione con Tecla e Maria Laura, subisce uno stupro mentre era al pratone a togliere le ortiche. La donna non vorrà mai parlare dello stupro, e non riesce a riconoscere il suo stupratore. Questo evento sarà il punto di partenza per la comunità di Belleni, che dovrà confrontarsi con un male da cui forse non si può mai scappare.
La tensione di Belleni fra paura e rinascita
Chiara Ghiglione non è tanto interessata all’atto dello stupro in sé: non è interessata difatti a dirci chi l’ha commesso – anche se verso la fine si potrebbe intuire, ma comunque non vi è certezza – e perché. A lei interessa di più sapere come questo atto destabilizza e contribuisce a forgiare l’identità della comunità di Sant’Orsola di Belleni. In questo senso è molto simile ad esempio a L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio, dove la fresca vincitrice del Premio Strega si focalizza solo in parte sul femminicidio accaduto a Dente di Lupo, in quanto è interessata ad analizzare le dinamiche sociali della comunità afflitta dalla cronaca nera.
L’autrice genovese ritrae, quindi, la tensione fra il passato degli abitanti di Belleni e il loro presente, fra il silenzio e la voglia di reagire e parlare, fra la paura di rivivere il male e la voglia di rinascita. Per farlo, agisce a livello di struttura del romanzo e di lingua: a livello di struttura il capitolo alterna momenti collettivi ambientati nel presente a momenti individuali ambientati nel passato, quest’ultimi resi graficamente in corsivo, che a poco a poco si incrociano verso la parte finale.
A livello linguistico, l’autrice invece interviene nei dialoghi, dove ogni battuta è interrotta da un trattino, a simulare momenti di conversazione in cui spesso interrompiamo e siamo interrotti, in cui ciò che si vuole dire resta sospeso e il lettore deve, dunque, completarlo cercando di interpretare il silenzio che si crea fra ciò che è stato detto e ciò che, invece, è stato taciuto volontariamente o meno.
Il paese di Belleni: una pigna con le scaglie intorno
Il romanzo di Ghiglione si apre con i seguenti versi tratti da Invocazione all’Orsa Maggiore di Ingeborg Bachmann: «Una pigna, il vostro mondo./Voi, le scaglie intorno». Come la pigna caduta dall’albero che lascia le sue scaglie in giro, anche Belleni è un paese che cade dal suo stato di grazia lasciando in giro scaglie – i suoi abitanti – caduti, smarriti e senza più difese. All’inizio, infatti, Belleni appare un’isola felice che garantisce un secondo inizio ai suoi abitanti:
Ciascuna delle venti case del paese doveva la sua seconda vita a una ragione normale, o che almeno tale appariva, data l’impossibilità e forse l’inutilità di sondare i cuori, una volta che si sono posati.
Tutti, quindi, cercano una seconda possibilità a Belleni: Loris, ad esempio, che è stato ingannato dal suo socio in affari; Don Carlo, in realtà di origini indiane, sfuggito grazie all’adozione a una situazione di miseria; per non parlare della stessa Abril, «morta e risorta tante volte e, da un certo momento in poi, aveva preso a contarsi le ossa, a non fidarsi della propria consistenza, a pensare di doversi conservare integra e tranquilla, null’altro».
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Nel momento in cui, però, Abril subisce lo stupro, Belleni si rivela essere «un inganno, la loro vita lì, e la natura, poi, e la pace, e l’esistenza buona, semplice, balle, la montagna insegnava la spietatezza, il bosco la sopraffazione». A Belleni i suoi abitanti imparano presto «la debolezza soggiogata alla forza», imparano come ogni cosa rischia di essere sopraffatta dal male e come questa sopraffazione sia ciclica, qualcosa senza via d’uscita, che lascia un segno indelebile che resta sul terreno come un marchio che ci segna a vita.
La volpe d’inverno, o del male che viene e che va
La chiave di volta di questo romanzo è costituita da una volpe che arriva nel paese di Belleni e su cui si concentrerà l’attenzione dei personaggi, come succede a Maria Laura, che non chiude la porta della legnaia perché, ricordandosi della canzone di Fossati, la volpe forse porterà a qualcosa di inaspettato che li redimerà dal male:
Sarà la volpe quando viene, ma la volpe non c’è: c’è una canzone che diceva così. Cos’era quella volpe? Cosa non era? Maria Laura, che da tutta la vita aspettava qualcosa, non se l’era sentita di chiudere la porta, perché aveva cinquant’anni e speranze che si erano fatte sottili sottili, zampette d’insetto.
La volpe di questo romanzo è come i cani neri dell’omonimo romanzo di Ian McEwan: simboleggia un male universale le cui tracce restano nel mondo e contro cui è difficile vincere. A differenza di quest’ultimi, però, la volpe è anche colei che con il suo arrivo non solo corrompe l’animo umano, ma nel farlo gli dà vita. Abril capisce difatti che Belleni è «il luogo ideale per abbruttirsi, corrompersi», e l’arrivo della volpe d’inverno le fa capire che la sua esistenza si basa sulla costante presenza del male.
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Alla fine, la donna deve riconoscere di essere el abril de la vida, una primavera che inganna, in quanto della sua freschezza il vento rivela «difetti, mancanze, perché lascia scoperti lembi di terra, pietre». Abril in spagnolo è Aprile, e come diceva T.S. Elliot, è il mese più crudele che genera lillà dalla terra morta: Abril, e così tutta Belleni, non può scappare dal male. La sua esistenza e la speranza di un mattino per l’ultimo giorno sono ciò su cui si fonda la vita di tutti noi.
Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino nella mia vita di volpe
Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino (acquista) si apre con Nella mia vita di volpe, una poesia della poetessa svizzera Leta Semadeni i cui versi riassumono tranquillamente quanto successo a Belleni: «nella mia vita di volpe/ero la fame e il gelo/ero gioco e ricciolo/nel fiume/e l’ultimo odore/un segnale/sulla mia strada/attraverso il bosco». Le vite di Abril, Tecla, Maria Laura, Don Carlo, Loris, Ottavia e tutti gli altri personaggi sono segnati non solo dalla speranza di rinascita, ma anche dalla paura del male. Come la volpe di Fossati, il male e l’inganno arrivano quanto meno ce l’aspettiamo, ma nel momento in cui si fa comunità, si condivide l’amore e la cura per l’altro e si capisce che una vicenda personale riguarda tutti, allora è possibile fare del male un’opportunità di rinascita, e dunque dare a un ultimo giorno il suo mattino, la sua ripartenza.
Il paese aveva dato forma alle vite, prova ne era il fatto che in ciascuno, seppur con gradi diversi di intensità e di convinzione, aveva trovato spazio un’idea tanto semplice quanto netta, che aveva a che fare con il passare. Nel senso, generico, del tempo, senza dubbio, ma anche e in particolar modo di certi momenti precisi e perfetti, passaggi della vita dentro la vita, manifestazioni improvvise, inattese, o periodiche, ricorrenti.
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