«Tutti gli eventi che noi pensiamo come appartenenti al passato o al futuro stanno in realtà accadendo contemporaneamente. […] Tu sei un sussunto, sei sepolto come sotto una valanga dal peso di eventi simultanei». Così scrisse lo scrittore britannico Sebastian Faulks in Engleby, romanzo tuttora inedito in Italia. Confrontarsi col passato comporta di base un’ingerenza di eventi presenti e futuri, con riflessioni e interferenze che plasmano il passato come meccanismo di difesa per non provare dolore nel rivivere certe memorie oppure per non ammettere la colpa di ciò che è stato.
Questa citazione appare all’interno di La colpa è nei dettagli, romanzo d’esordio di Elisabetta Foresti edito Alter Ego Edizioni. Proveniente letterariamente parlando dalla Bottega di narrazioni diretta da Giulio Mozzi e Giorgia Tribuiani – ormai diventata fucina di talenti come la fresca vincitrice del Campiello Opera Prima Fiammetta Palpati –, Foresti esplora in questo romanzo il tema della colpa e l’influenza che la finzione e la rimozione hanno su di essa.
La trama di «La colpa è nei dettagli»
La colpa è nei dettagli si apre in un carcere nei pressi di Roma. Il protagonista di questo romanzo è Marco, ragazzo di ventisette anni di cui «diciotto spesi a ingannare me stesso e gli altri nove spesi a ingannare il prossimo», che si ritrova incarcerato dopo aver assassinato il padre.
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Tutto il romanzo esplora le ragioni del parricidio commesso dal protagonista, ma anche i possibili strumenti con cui è stato condotto. Giocando con le bugie e la verità, Marco continua sempre a cambiare versione dei fatti, un po’ per ripicca verso l’avvocato Rendini e un po’ perché forse – ma su questo resteremo sul vago per non dare troppe anticipazioni che rovinerebbero il piacere della lettura di questo romanzo – l’omicidio non l’ha realmente commesso, o magari lo starà solo immaginando.
La colpa è nei dettagli veri o immaginati
Il romanzo d’esordio di Foresti mette in scena abilmente gli schemi della rimozione della colpa già esplorati dalla psicanalisi. Lo fa portando queste riflessioni su un livello letterario sofisticato che rende le cose sempre più complesse per una serie di motivi. Innanzitutto a livello di stile: se da un lato Marco afferma fin dall’inizio di aver ucciso il padre, nel corso del romanzo continua a negare i modi con cui l’ha ammazzato e i moventi, ritorna sempre sugli stessi punti e sorvola su altri, mettendo in difficoltà il lettore, che non comprende se effettivamente il protagonista ha compiuto o meno l’omicidio.
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Ciò che rende tutto più complesso è Elisabetta, fidanzata del protagonista appassionata di letteratura e di musica e abile a parlare in francese, le cui riflessioni non solo confondono Marco, ma danno delle chiavi di lettura importanti all’interno del romanzo. Il suo rapporto con il protagonista si fa sempre meno chiaro nel corso del libro, al punto che, se leggiamo l’esergo del libro «A mio padre» e pensiamo all’autrice, ci viene da pensare che molto probabilmente sia un cameo autofinzionale dell’autrice che prova a livello metanarrativo a ragionare sul rapporto padre-figlio, su tutti i meccanismi di colpa che ne conseguono e allo stesso tempo sui possibili modi con cui venirne a capo.
La verità insincera di Marco
Fin dall’inizio Marco si contraddice, affermando da un lato di dire la verità e dall’altro di essere un bugiardo. Il protagonista, infatti, si mostra veritiero quando mente, e allo stesso tempo bugiardo quando dice la verità. La verità sta sempre nel mezzo, e molto probabilmente è frutto di qualcosa di costruito che serve al protagonista a fare pace con sé stesso:
Mi assumo la responsabilità presente e futura di questo resoconto, di questo tratteggio della verità, una verità inessenziale eppure necessaria, una verità che mi preme riferire; a ben vedere dovrei spiegare cosa sia la verità, prima di iniziare, o cosa intendo per verità. Be’, come diceva Elisabetta, la sola verità è che le cose sono per noi ciò che in fondo vogliamo che siano.
Se pensiamo alla parola «resoconto» e al fatto che tutto il libro sia narrato alternando il tempo presente al passato, allora si comprende presto che ciò che il protagonista sta costruendo è una ricostruzione falsata della verità e una veritiera della bugia. Come il protagonista stesso afferma, «alle volte la memoria mi fa strani scherzi», e i dettagli che spesso ricostruisce sono menzogneri e svelano a poco a poco una natura di finzione di ciò che racconta, fatta sia per difendersi dallo scandaglio del proprio rapporto con il padre sia per ragionare su come forse sarebbe meglio recidere questo legame:
La realtà l’ho sempre vista in bianco e nero, e dato che di bianco la carta ne offre già in abbondanza, ci andavo giù pesante con il nero: pastello, matita, carboncino, china, talvolta perfino caccole, quando ero a corto di materiali e volevo lasciare un’impronta di me sul foglio. Per forza, Elisabetta, avevi dei dubbi. Sono a colori i disegni che ho ritrovato nel boro, nel buro, nel bureau o comecavolosidice, qualcuno deve averli colorati, ché i miei originali erano chiaro e scuro, candore e ombre, latte e caccole.
Elisabetta, o di come immaginare una vita senza padri
Ed è qui, allora, che risulta fondamentale il ruolo di Elisabetta, persona chiave nelle vicende che hanno coinvolto Marco e l’omicidio di suo padre:
Il tuo solito sfoggio di cultura, dissi guardando la strada che sbiadiva in quella luce inconsueta, cosa vorresti dire? Che non dovremmo mai tentare nulla? Che siamo tutti vittime del destino? Be’, ascolta questo: ho voglia d’iniziare a scegliere.
Se pensiamo che a un certo punto Marco dice «la prossima volta che appari, stai zitta e fatti scopare», c’è, dunque, da credere che Elisabetta non sia del tutto un personaggio reale. Forse è la fidanzata di Marco, uno sdoppiamento della sua personalità, o forse è veramente una proiezione finzionale dell’autrice. Un altro pensiero che ci instilla il dubbio è quando all’improvviso Marco sostiene che la donna sia «una vasta collezione di parole di altri» che propone al protagonista per cercare di imbastire la sua storia nel modo più credibile possibile.
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Elisabetta come collezione di parole d’altri e Marco che continua a dire di mentire nei confronti dell’omicidio del padre ci fanno giungere alla conclusione che ciò che stiamo leggendo è la lunga riflessione di un uomo – oppure di una scrittrice che riflette le sue conoscenze su di lui – che medita sul suo rapporto con il padre e che si chiede se effettivamente ci sia una via d’uscita da un rapporto logorante o meno, se sia possibile fermare l’ingranaggio esistenziale di bernhardiana memoria oppure siamo destinati per sempre a essere intrappolati per la nostra incapacità, come un indifferente moraviano, a recidere ogni rapporto col passato e con chi ci fa del male.
Essere bugiardi, ma non ammetterlo mai
La colpa è nei dettagli (acquista) si dimostra essere un sofisticato gioco letterario e psicologico adatto a stomaci forti, a chi è disposto a guardare in faccia Marco come guardando il proprio riflesso allo specchio e riconoscere la propria incapacità a prendere le redini del proprio destino. Le vicende del protagonista portano a un livello del tutto nuovo l’inettitudine di Zeno Cosini e Michele Ardengo, in quanto l’immaginazione narrativa dimostra ancora una volta il nostro fallimento nell’affrontare la realtà, e ribadisce il nostro ruolo nei confronti del destino: essere pedine mosse dai suoi capricci senza la possibilità di poter decidere il nostro percorso.
La vita ci confonde in mille sentieri, prima di mostrarci la verità. Proprio come farebbe un fiume che tra impervi ostacoli si guadagna la strada per giungere a valle e, quando sembra averla trovata, cambia direzione, lasciandoci improvvisamente soli sul suo letto infangato.
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