Intrappolati in un inganno passato

«Malotempo» di Veronica Galletta

12 minuti di lettura
Malotempo

In questi ultimi anni, fra cinema e letteratura, stiamo assistendo alla realizzazione di molti sequel, ovvero di opere che costituiscono il prosieguo di lavori precedenti. Alle volte lo si fa per pura operazione nostalgica, altre volte, invece, perché non si hanno idee nuove da proporre. Se da un lato abbiamo Il Gladiatore 2 oppure il già annunciato The Goonies 2, in letteratura, per esempio, abbiamo avuto Borgo sud, prosieguo di L’arminuta, e Due, secondo capitolo di Jack Frusciante è uscito dal gruppo.

Si è cimentata nei sequel anche Veronica Galletta, scrittrice che abbiamo già avuto modo di apprezzare con Le isole di Norman, Nina sull’argine e Pelleossa. È proprio a quest’ultimo che Galletta ha pensato nel momento in cui, sempre per minimum fax, ha pubblicato Malotempo, un romanzo che continua il dialogo fra memoria e passato iniziato con il romanzo a esso precedente.

La trama di «Malotempo»

Malotempo si apre con il ritorno di Paolino Rasura, protagonista di Pelleossa soprannominato Ncantesimo, a Santafarra, paese siciliano immaginario che abbiamo già imparato a conoscere. Si sa che sarebbe meglio non fare spoiler, ma il romanzo si apre con un evento importante, ovvero la morte di Filippu, lo scultore delle teste di intellettuali, personaggi storici e scrittori come Sigmund Freud, Luigi Pirandello, Vittorio Emanuele II, Federico García Lorca e tanti altri.

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Ormai trasferitosi a Palermo, padre di famiglia e con una carriera quasi fallita da pittore, Paolino torna per rendere omaggio alla memoria dell’amico scultore. Se inizialmente pensava di restarci poco, in realtà a Santafarra sarà destinato a restarci più di un giorno. Lì scoprirà che dei signorotti locali, in combutta con le autorità, stanno cercando di appropriarsi delle terre di Santafarra – fra cui quelle della contrada Malotempo, appartenute un tempo al cavalier Mistretta – per costruire un’autostrada che collega Santafarra a Palermo.

Questo evento interessa, inoltre, il giardino di Filippu, un luogo che contiene la memoria della storia di Santafarra e della sua comunità con tutti i suoi segreti, e distruggerlo significherebbe distruggerne la memoria. Sta a Paolino, allora, cercare di salvare il giardino dello scultore, e soprattutto iniziare a mettere in pratica gli insegnamenti dell’amico, ovvero usare la propria arte come testimonianza della storia e del passato.

«Malotempo»: perché un sequel?

In questo articolo si cercherà di rispondere alla seguente domanda: perché un sequel di Pelleossa? Era proprio necessario? In alcune sue interviste, per esempio, Donatella Di Pietrantonio dichiarò che aveva scritto un sequel di L’arminuta perché la storia la continuava a chiamare, vale a dire sentiva la necessità che qualcosa lasciato in sospeso con il suo romanzo più famoso andava concluso.

Si può ipotizzare, quindi, che Galletta sia stata mossa dalla stessa motivazione dell’autrice di Penne: la storia di Paolino Rasura in Pelleossa non era ancora conclusa, in quanto l’aspetto fondamentale da indagare è principalmente l’importanza della memoria non da bambini, ma da adulti, e in questo senso Pelleossa aveva bisogno di un suo lato B per considerarsi completo. Galletta, dunque, sentiva sicuramente la necessità di capire come un adulto si sarebbe dovuto confrontare con la memoria una volta abbandonato l’incanto dell’infanzia.

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Significativo in questo senso è il periodo storico in cui è ambientato Malotempo: in Pelleossa abbiamo la Liberazione dai nazifascisti; qui, invece, abbiamo il ’67 e il ’68, periodi critici del nostro paese che seguono il boom economico e in cui la nostra identità storica è minacciata da rigurgiti fascisti e dall’omologazione culturale, denunciata da Pier Paolo Pasolini, che ha messo a rischio l’esistenza delle culture popolari e, dal punto di vista linguistico, dei dialetti. Oltre a questo, è anche il periodo della speculazione edilizia, il cui cannibalismo mette a rischio una memoria e un’identità locale costruita a fatica dopo la Seconda Guerra Mondiale e che trova nei luoghi le sue fondamenta.

Paolino Rasura vent’anni dopo

Se Pelleossa aveva dei risvolti più sociali, soprattutto legato al concetto di terra, Malotempo invece è più legato al tema della memoria, concetto molto caro a Veronica Galletta e presente in tutti i suoi romanzi. Già all’inizio del romanzo, infatti, troviamo un Paolino in preda ai fantasmi della sua memoria, in quanto «l’avvenimenti gli si mischiano in testa, e i vivi e i morti si confondono». Santafarra resta ancora simile all’Ortigia di Elena in Le isole di Norman, una prigione che prima di essere fisica è anche mentale e memoriale.

Sebbene la trovi cambiata, Santafarra resta per Paolino una prigione d’illusioni che gli serve per sopravvivere. Nonostante il suo rapporto di odio e amore con il suo paese d’origine – tipico di chi emigra in cerca di un avvenire migliore, ma il cui rapporto con le origini resta sempre irrisolto –, il protagonista sa che Santafarra è parte integrante della sua identità di uomo, e saperla ancora viva e intatta gli dà motivo per sopravvivere soprattutto dalla morte di Filippu, colui che con la sua arte lo ha forgiato e reso l’uomo che è diventato.

«Tutta Santafarra», dice Paolino «è solo questo, una distesa di case e piazze intrappolate nella ragnatela dei passi di tutti, avanti e indietro, fino alla morte». Paolino non riesce a scappare da Santafarra perché ogni luogo è intriso di ogni suo passo e di quelli della sua famiglia e dei suoi cari. Paolino è tornato perché Santafarra si sente in pericolo, specie dopo la costruzione dello Scursone – un complesso edilizio abusivo –, e il protagonista deve accogliere il richiamo di un luogo chiede a un artista come lui di agire, di raccogliere la sua memoria prima che sia troppo tardi.

Salvare il Giardino di Filippu per salvare la memoria di Santafarra

Questa idea di una memoria locale minacciata dalla speculazione edilizia e da interessi capitalistici l’abbiamo già riscontrata, per esempio, in È atroce la luce di Stefano Galardini e in Buio padre di Michele Vaccari. Sia Morre nel primo caso che Crinale nel secondo sono come Santafarra luoghi immaginari specchio di una società che per il progresso è pronta a sbarazzarsi di una memoria fatta di segreti che fa paura ai propri abitanti, ma che è fondamentale da preservare perché anche gli errori e gli orrori della Storia fanno l’identità di un paese.

Cercare l’atto di proprietà del giardino di Filippu per salvarlo dall’esproprio del comune significa non soltanto per Paolino visitare ancora una volta Santafarra con i suoi luoghi caratteristici come la fortificazione di Mazzallakkar o salvare La Casa Verde, ma significa anche salvare le ombre di Santafarra. La modernità porterà pure felicità e lavoro attraverso la costruzione dell’autostrada, ma le ombre, ovvero i segreti oscuri della comunità – fra cui uno che riguarda proprio Paolino – devono restare perché i tradimenti, le lotte per la terra e il dolore dei paesani di Paolino sono alla base della loro identità.

Se all’inizio del romanzo troviamo un Paolino che ha perso ogni ragione di vita, nelle vicende di Santafarra ritrova il suo scopo. Molto probabilmente, la modernità potrebbe averla vinta e appropriarsi del giardino di Filippu, ma Santafarra potrà continuare a vivere se Paolino inizia a fare della sua arte uno strumento civile: in Pelleossa si trattava di raccontare le storie; in Malotempo si tratta di scriverle, di fissare su carta una memoria che rischia di scomparire a causa di un’illusione di felicità e prosperità che ci depersonalizza e condanna a vivere senza memoria, e dunque senza identità.

Trasformare una trappola di inganni in memoria

Alla fine, alla domanda se fosse o meno necessario un sequel di Pelleossa, Veronica Galletta ci risponde affermativamente. Con Malotempo (acquista) continua la sua indagine sulla memoria, che qui troviamo minacciata dalla modernità e dall’illusione di felicità che il capitalismo porta con sé. Il viaggio introspettivo di Paolino Rasura è quello di ogni artista che deve uscire dal proprio “incantesimo” di finzione per agire e rendere utile la propria arte al servizio di luoghi, identità e storie che rischiano di sparire per sempre. Una trappola di radici, alla fine, può diventare un’opportunità di creare arte attraverso una memoria storica e culturale che continuerebbe a vivere e a rendere possibile l’esistenza di una comunità.

“All’ultima manovra, non si sapi che fu. Lo svuotarono d’improvviso, e i pisci rimasero senz’acqua. Uno sbaglio, o un avvertimento”, dice Michele Lèggio serio, e fa una pausa. “Tu mi pari come sti pisci. Sei rimasto intrappolato nell’invaso, e non sai come nesciri”.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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